Roberto Tarallo – Fiumi di gennaio
Dopo le personali “Umanità Coco’s 50” e “Palpiti- giorni e notti al Pastis” che l’hanno visto impegnato nel trasformare la banale fotografia d’occasione in circostanza d’autore, con “Fotografia contemporanea popolare-anteprima Rio de Janeiro”, di qualche anno fa, e l’attuale mostra, Roberto Tarallo ritorna a uno dei suoi temi preferiti: il viaggio
Comunicato stampa
LA FOTOGRAFIA POPOLARE CONTEMPORANEA DI ROBERTO TARALLO
Dopo le personali “Umanità Coco’s 50” e “Palpiti- giorni e notti al Pastis” che l’hanno visto impegnato nel trasformare la banale fotografia d’occasione in circostanza d’autore, con “Fotografia contemporanea popolare-anteprima Rio de Janeiro”, di qualche anno fa, e l’attuale mostra, Roberto Tarallo ritorna a uno dei suoi temi preferiti: il viaggio.
Lo fa con la consapevolezza programmatica di voler cogliere le istanze popolari dei volti e dei luoghi di un paese, ormai non troppo lontano, come il Brasile. Più precisamente, si tratta di una selezione mirata d’immagini destinata ad aumentare nel tempo ovvero di un work in progress sulla vita pulsante di una delle città più note al mondo e per questo dal volto più stereotipato.
Infatti, dire Rio de Janeiro non può che far venire in mente il “Pan di zucchero”, la samba e, per le tifoserie calcistiche, lo stadio Maracanã, vale a dire l’immagine semplificata e logora che un turismo globale ci ha consegnato nella sua facile riconoscibilità.
Una leggenda metropolitana, buona per una campagna pubblicitaria, narra che, non appena atterrati all’aeroporto Antonio Carlos Jobim di Rio de Janeiro, si è subito sopraffatti, non solo dall’umidità, ma da una voce, dal timbro caldo e suadente, che invece di annunciare i voli in partenza e in arrivo, sembra bisbigliare all’orecchio del forestiero, parole misteriose, sensuali, tali da scatenare immediatamente l’immaginario pre-confezionato del maschio italico e non.
Che esistano a Rio le bianche spiagge tropicali, il Carnevale, il Cristo Redentore, la saudade; ma anche, la povertà e la violenza delle favelas, la droga e il sesso facile, così come i corpi statuari e i sorrisi luminosi di Copacabana (un tempo c’era anche la Bossa nova de la “Garota de Ipanema”), è un dato di fatto incontrovertibile.
Tuttavia, la Rio de Janeiro di Roberto Tarallo è diversa. Non è scontata, non concede facili rimandi. Le sue contraddizioni manifeste e note sono come riassorbite da un’immagine quotidiana che vuole essere senza riserve, immediata, priva di spettacolarizzazione e ovvio consumo.
Fisica e madida, la sua cornice è fatta di panorami dal gusto acre e di quartieri vivaci, dove si respira un’aria di festa, anche se i problemi sociali rimangono sullo sfondo. I suoi soggetti sono gente che lavora o che si diverte, che cammina per le strade, che prende l’autobus o un gelato; o, ancora, che si riposa seduta su una sedia di fortuna sull’uscio di una casa o beve una birra con gli amici. Sono ritratti di gente comune, che fa cose comuni, come si dice. Ombre e colori di un’umanità composita di venditori ambulanti, di managers o di ragazze semplici che vivono tra sconforto e coraggio, tra dolore e musica una quotidianità ordinaria.
Sono scatti eloquenti, ritmici, in cui ritroviamo quella bellezza e quel piacere di una fotografia svincolata da estetismi, che cattura la vita nella sua voglia di affermazione e di forza positiva, in un sempre rinnovato interesse per ogni donna o uomo incontrati, prima ancora con lo sguardo che con l’obbiettivo della macchina fotografica.
Naturalistica nella sua apparenza percettiva, è un lavoro, quello di Tarallo, che non si esaurisce nel documento, bensì ha una valenza antropologica nella sua ricerca, quasi spasmodica, di emozioni da catturare, di volti e situazioni da riversare in immagini vive e sincere, senza compromessi di sorta.
Una Rio, in ultima battuta, che non ha segreti o inganni, se non quelli che ognuno di noi vuole vedere. Ma questa è un’altra storia.
Gian Alberto Farinella
Accademia Albertina di Belle Arti di Torino