Case Chiuse – Roberto Coda Zabetta / Carlo Valsecchi
Sottraendo Roberto Coda Zabetta e Carlo Valsecchi alleggeriscono la struttura del linguaggio e creano spazio. Liberando lo spazio generano la possibilità di lasciar emergere un che di aperto in cui possa accadere qualcosa. Non ricercano la presenza, ma evocano un’atmosfera, un concorrere e convenire di occasioni.
Comunicato stampa
La nostra mostra non ha titolo, ne ho pensati molti, ma li ho esclusi tutti. Quello che ho abbandonato più a malincuore è stato “pas de deux”: un termine a me caro, che nel balletto definisce l’esecuzione di una sequenza di passi a due. L’immagine di due danzatori che procedono sincronicamente avrebbe potuto raffigurare e sintetizzare con precisione la reciprocità di metodo e di ricerca artistica dell’incontro tra Roberto Coda Zabetta e Carlo Valsecchi.
Questa visione si è rivelata immediatamente come incompleta, non finita. Essendo consapevole che l’immagine evocata del passo a due era densa di tematiche fuorvianti, cercavo di allontanarla, ma non trovavo via di uscita perché si ripresentava sempre con maggiore insistenza. Il disagio non si è placato finché non ho capito che questa metafora, aveva innescato una sorta di corto circuito nel flusso dei miei pensieri facendo riaffiorare ricordi, immagini e scritti sulla danza dell’ultimo secolo. La danza moderna e contemporanea si afferma come arte autonoma impegnata a trovare la sua identità. La danza come forma di pensiero sullo spazio, sul corpo, sull’uomo, sul mondo e sul loro reciproco rapporto. La danza come arte anti-dualistica, come esperienza di trascendimento capace di decostruire il reale giungendo nelle zone mobili dell’essere e in grado di rendere percettibile una delle possibili infinite visioni del non-visibile.
A partire dal Novecento nella danza e nell’arte la pratica all’autoreferenzialità diviene centrale attraverso il processo di interrogazione di se stessa. L’arte diventa ricerca della propria essenza.
Tutto ciò si prestava come un’occasione per guardare da un altro punto di vista i nuovi lavori di Coda Zabetta e Valsecchi presentati al Garage Soccol.
Come la danza queste opere sono atemporali e a-spaziali, ma al contempo evocano tempo e spazio. Rimandano a un tempo fluido, non determinato e raccontano di uno spazio non definibile, ordinato non solo su parallele e ascisse, ma fortemente connotato tridimensionalmente da spostamenti circolari, centrifughi e centripeti.
Come la coreografia di un balletto, queste opere sono una sequenza di finestre, aperture sul movimento e sulla trasformazione della materia oltre la materia; multiple visioni non definite di mondi e di particelle di mondi possibili per dare visione al non-visibile. Qui risuonano nella mia mente le parole di Calvino sulle Metamorfosi di Ovidio nelle Lezioni Americane: “la conoscenza del mondo passa attraverso la dissoluzione della compattezza del mondo”.
Così come per un danzatore la perfezione tecnica è solo un mezzo per elevarsi oltre ad essa e comunicare oltre al corpo, in questi lavori la tecnica, sempre utilizzata con estrema precisione e spinta all’estrema forzatura, scompare.
La visione evocata nello spazio della mente, forzata dal processo di sottrazione, si rivela infine con un suo essere naturale, oltre la fatica del gesto.
Sottraendo Roberto Coda Zabetta e Carlo Valsecchi alleggeriscono la struttura del linguaggio e creano spazio. Liberando lo spazio generano la possibilità di lasciar emergere un che di aperto in cui possa accadere qualcosa. Non ricercano la presenza, ma evocano un’atmosfera, un concorrere e convenire di occasioni.