Antonio Scaccabarozzi – Introduzione al vuoto
Nato nel 1936 e morto nel 2008 vicino a Merate, in Brianza, il pittore dà corpo, a partire dalla metà degli anni Settanta, a una ricerca che presenta uno spiccato carattere sperimentale non soltanto per l’utilizzo di nuovi materiali, ma soprattutto per le forme sempre altre che prendono le sue indagini sulla visione.
Comunicato stampa
La Nuova Galleria Morone presenta “Introduzione al vuoto”, la personale milanese di Antonio Scaccabarozzi, curata da Elisabetta Longari.
Nato nel 1936 e morto nel 2008 vicino a Merate, in Brianza, il pittore dà corpo, a partire dalla metà degli anni Settanta, a una ricerca che presenta uno spiccato carattere sperimentale non soltanto per l’utilizzo di nuovi materiali, ma soprattutto per le forme sempre altre che prendono le sue indagini sulla visione. L'esposizione, che ruba il titolo a un lavoro realizzato dall’artista nel 1978, dà conto dell’evoluzione del suo linguaggio, documentandolo dai suoi inizi con Fustellati e Prevalenze, in cui un metodo più apertamente analitico, conforme allo spirito dei tempi, guidava la formazione delle sue superfici. Attraverso un insieme di esempi del suo percorso per cicli, sperimentando diverse nature del supporto e del colore, tela, carta e plastica, e con un piccolo saggio di opere dal respiro installativo, si può leggere lo sviluppo operativo di Scaccabarozzi, infaticabile scopritore di fenomeni visivi.
Secondo Elisabetta Longari è soprattutto dalle Quantità libere di colore in poi che si legge perfettamente il bipolarismo alla base della ricerca di Scaccabarozzi, teso tra trasparenza e opacità. Alcuni suoi colori generano stesure dal corpo massimamente coprente (vinilici, acrilici, inchiostri), mentre altri suggeriscono appena tinte e trasparenze difficilmente nominabili e classificabili. Questi colori in dissolvenza restituiscono alla visione il suo carattere primario di apparizione, epifania.
Di particolare reattività all’ambiente si rivelano le cosiddette “plastiche”, che consistono in fogli di polietilene da lui usati come se fossero le stesure della tavolozza, sovrapposti in vari strati e sistemati liberi nello spazio, rendendo in questo modo protagonisti dell’opera le variazioni della luce e gli spostamenti d’aria. L’esposizione si chiude con le Velature, che rappresentano il ritorno al colore a olio, in cui restano però centrali la questione della trasparenza/opacità e il gioco della trasformazione.