Loretta Isotton – Su un filo d’acqua..

Informazioni Evento

Luogo
LARANAROSSA GALLERY
Via Giuseppe Parini 27, Latina, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
01/03/2015
Artisti
Loretta Isotton
Generi
fotografia, personale

In mostra una selezione di oltre cinquanta scatti che l’autrice ha realizzato durante alcuni viaggi a Venezia ed un particolare itinerario nella laguna a bordo di un kajak.

Comunicato stampa

In mostra una selezione di oltre cinquanta scatti che l’autrice ha realizzato durante alcuni viaggi a Venezia ed un particolare itinerario nella laguna a bordo di un kajak. Su un filo d’acqua.. un punto di vista inusuale per entrare in laguna attraverso i colori del carnevale e per registrare visioni di luoghi non facilmente raggiungibili, luoghi che la Isotton conquista in solitutine, immagini scattate in condizioni climatiche e luminose non sempre favorevoli, sollecitata inoltre dal movimento dell’acqua.

L’autrice parlando di questo progetto ci dice: “Il mio è il racconto di un viaggio in questo luogo così particolare che ti fa uscire fuori dal tempo e dallo spazio. Si entra in una dimensione veramente unica, in simbiosi con mare e cielo, senza contorni e senza confini. Lasciarsi andare leggeri, silenziosi...un lieve movimento dell’acqua e poi nessuna traccia dietro di noi così come un battito d’ali. La mente divaga libera e, tra le alte e basse maree, tra le isole e le barene, il viaggio ti riporta al tempo della Serenissima e ancor prima a quando i fuggiaschi per le rappresaglie dei popoli nordici si rifugiarono in queste isole, cercando il modo di sopravvivere in questo habitat così complesso e inospitale quale quello della laguna. L'approccio è davvero interessante...domina l’elemento verticale, come le bricole che danno prospettiva e nello stesso tempo eleganza al paesaggio. Ci sono stati vari viaggi a Venezia nell'arco della mia vita, ognuno con caratteristiche diverse, particolari, questo sicuramente molto intimo con la natura ma anche con la storia della Serenissima e della sua laguna”.

La barena immutevole e “altro”. Ben si addice alla ricerca fotografica di Loretta Isotton la riflessione di Rosalind Krauss sul tema degli spazi della fotografia che possono essere “discorsivi” (da Le Photographique, Paris 1990). Tali spazi discorsivi della fotografia non sono altro, in definitiva, che il risultato di modalità di approccio al soggetto per sequenza di fotogrammi, se si accosta l’asserzione della storica dell’arte moderna e contemporanea americana alla definizione dell’indiscusso Minor Martin White (1908-1976). Per il fotografo americano infatti “una sequenza di fotografie è come una pellicola cinematografica composta di fotogrammi fissi” il cui significato “si evidenzia nello spazio fra le immagini nello stato d’animo che suscita in chi le guarda” (da Book-Sequenza 6, S. Francisco 1951). Con tali premesse, per condividere le motivazioni dell’artista-fotografa Loretta Isotton, è bene iniziare ad osservare la sua “sequenza” lagunare, intercettata da una quota di osservazione “nuova”, per così dire “inedita”: viene proposto infatti al riguardante il “suo” stato d’animo quasi a quota zero rispetto al livello dell’acqua. Acqua e cielo congiunti in un continuum quasi ininterrotto in cui gli oggetti materiali perdono la loro fisicità, tant’è che “fluttuano” anch’essi perché partecipi di uno spazio che è reale ma che la fotografa rende irreale. Tale irrealtà è la conseguenza di quel “discorsivo” citato, di quello spazio senza punti di riferimento che si insinua tra un’immagine e l’altra ed infine, grazie alla fotografa, anche nel nostro immaginario. Cosa viene proposto dall’artista-fotografa se non un modello di bellezza misteriosa e silenziosa, quasi inedita se anche tu scegli di scendere a quella quota di osservazione azzerata? Ecco l’opportunità che la fotografia offre di essere partecipe degli esiti delle arti visive affini. Loretta Isotton infatti sceglie la sequenza di fondi luminosi che annullano la fisicità e trasformano gli “oggetti” – selezionati ovviamente, ma questo è “più” fattibile navigando fra le solo apparenti “spoglie” barene venete – in elementi di una composizione grafica, esattamente come affermava la Krauss. La tesi raggiunta da Loretta Isotton, per così dire “pittorica”, per prendere in prestito l’aggettivo dalle citate arti visive affini, è quello di proporci una bellezza misteriosa grazie all’appiattimento dello spazio. L’ipotesi è quella di peregrinare (e di suggerirci un analoga esperienza, magari un ritorno) in cerca di habitat che facilitino l’evidenza del mistero. Tale evidenza, poi, si dipana in immagini anche più capillari, come se si volesse presentare degli “affondo”, degli elementi connessi a queste, e addirittura interconnessi fra loro. E’ così che gli “oggetti” intercettati in quel “paesaggio” (pali, reti, nasse, uccelli, sciabordii, carcasse di imbarcazioni “dimenticate”, o, più in dettaglio, particolari a queste concatenati, ma partecipi anche autonomamente – e forse di più – al mistero) e il loro “antico” e “nuovo” uso vengono presentati come metafora di un’unica emozione, di un particolare stato d’animo - la scoperta, l’emozione di un viaggio che è anche “mentale” - offrendo un’esperienza visiva unica, perché “nello spazio fra le immagini” la fotografia crea un oggetto nuovo che ha un valore autonomo. Loretta Isotton procede nel suo Fine Art Documentary svelando ciò che ritiene si debba co-svelare, grazie da una sua lettura partecipata (la proposta di un’esposizione pubblica non è in fondo proprio questo?): rivelazioni di uno stupore, di un costume, scegliendo alcuni ingredienti che testimoniano un “presente” da fissare per un “dopo”. Ecco i ritratti “nascosti” ma disponibili per breve tempo: le maschere, l’ “effimero rumoroso” opposto al “solitario e stabile” navigare, o i manichini riflessi, maschera di maschera in fondo, proponendo una sorta di ritratto di un paesaggio che muta la propria identità: il paesaggio naturale-acquoreo in cui la presenza dell’uomo è appena percettibile, il paesaggio urbano (violato?) dalla massiva presenza dell’uomo e dei suoi simulacri. Fotografia dunque come registrazione di stupori “diversi”, anche contraddittori: dal narcisismo solitario della luce di “impressionistica” memoria, alla “costruita” rutilanza del colore.

Francesco Tetro