Vincenzo Agnetti – Testimonianza
La Galleria Il Ponte presenta, in collaborazione con lo Studio Visconti di Milano, un importante nucleo di opere di Vincenzo Agnetti, un artista che dalla prima personale tenuta nel 1967 alla morte prematura avvenuta nel 1981, si è dedicato all’attività artistica ed extra-artistica (di scrittore e teorico) con assoluta coerenza e lucidità di pensiero.
Comunicato stampa
La Galleria Il Ponte presenta, in collaborazione con lo Studio Visconti di Milano, un importante nucleo di opere di Vincenzo Agnetti, un artista che dalla prima personale tenuta nel 1967 alla morte prematura avvenuta nel 1981, si è dedicato all’attività artistica ed extra-artistica (di scrittore e teorico) con assoluta coerenza e lucidità di pensiero.
Dopo essersi diplomato all’Accademia di Brera e aver frequentato il Piccolo Teatro di Milano, dalla fine degli anni Cinquanta si avvicina alla pittura informale nonché alla poesia, per poi intraprendere una collaborazione con il gruppo milanese Azimuth, seguita dall’autonoma formulazione del rifiuto di dipingere attraverso il cosiddetto “liquidazionismo” o “arte no”.
Dalla seconda metà degli anni Sessanta, mediante l’uso di diversi media (feltro, bachelite, fotografia, testi a stampa, registrazioni vocali e performances) Agnetti formula gli assiomi, in apparenza ossimorici, di un’analisi dell’atto stesso del fare artistico anticipatrice di alcune delle di poco successive ricerche internazionali.
Assioma (luce come ultimo punto dell’oscurità) (1971), Assioma 4. In principio era la negazione in attesa dello stupore (1971), Il sistema usa gli oggetti come veicolo e le idee come combustibile (1972), Dati due o più istanti lavoro vi sarà sempre una durata-lavoro contenente gli istanti dati (1973), sono soltanto alcune delle asserzioni postulate dall’artista per teorizzare una crisi del linguaggio (1972) dove Chi entra esce (1970/1971) e Chi esce entra (1970/1971); ovvero dove le consuete antinomie tra due elementi o concetti opposti trovano risoluzione in un’unità paradossale ma rigorosa, e soprattutto capace di evidenziare le estensioni così come le contraddizioni intrinseche all’espressione linguistica.
Dalla seconda metà degli anni Settanta, questo innescare una molteplicità interpretativa mediante associazioni apparentemente prive di senso, condurrà Agnetti ad intraprendere un procedimento analitico sulla fotografia, dove l’intervento grafico, la manipolazione combinatoria e l’aggiunta di un vissuto biografico-culturale trasformeranno gli scatti anonimi, costituenti la serie Dopo le grandi manovre, in veicoli di memorie personali, di pulsioni mentali e di afflati poetici.
La mostra si propone quindi di ripercorrere la ricca produzione di un artista che ha scelto il rigore analitico e la poeticità inquieta come complementari parole d’ordine di una ricerca tesa a sostituire l'oggetto con il linguaggio, la presenza con l'assenza, lo scorrere progressivo del tempo con il dimenticare a memoria.