Caterina Silva – Soggetto. Oggetto. Abietto
La Galleria Riccardo Crespi presenta Soggetto. Oggetto. Abietto. una mostra personale di Caterina Silva, artista italiana di stanza alla Rijksakademie di Amsterdam.
Comunicato stampa
La Galleria Riccardo Crespi presenta Soggetto. Oggetto. Abietto. una mostra personale di Caterina Silva, artista italiana di stanza alla Rijksakademie di Amsterdam.
Caterina Silva indaga, attraverso la pittura, le emozioni primarie - la paura, la gioia, il delirio - che spingono l’essere umano all’atto creativo.
Il titolo della mostra gioca sulla musicalità delle parole che richiamano – ben lontano da una filastrocca – la complessità della dialettica approfondita da Julia Kristeva nel suo testo del 1980 Pouvoirs de l'horreur. Essai sur l'abjection (Poteri dell'orrore. Saggio sull'abiezione). Come l’abiezione diventa – per la nota linguista - una fase necessaria alla formazione della propria identità, essa entra a far parte delle opere di Caterina Silva con personaggi e storie immaginarie incarnati da forme e segni che si combinano in narrazioni sintetiche.
L’olio su tela è il punto di partenza per una analisi accurata sulle potenzialità della pittura stessa e sulle sue possibilità di esprimere un significato: Caterina Silva afferma che le sue opere ne sono pregne, tuttavia si rifiuta di stabilire un codice (o forse di rivelarlo) per aderire completamente ad un ideale a-sistemico e a-gerarchico, parallelo e conseguente agli studi di genere - una tematica ricorrente nella sua opera – e alle influenze della cultura induista.
Emblematiche in questo senso sono le opere, Durgality e He, dove rispettivamente si fa riferimento alla Madre Divina Induista, forza creatrice e inavvicinabile, e al principio maschile incarnato dal solo pronome. Mentre la rappresentazione del femminile assume una forma più libera, fino a presentare un’aggiunta di tela su tela, l’opera He (Lui) inquadra – nel vero senso della parola, essendo l’unica tela incorniciata – una mancanza. Precisamente, i motivi ricorrenti del buco nella tela o del frammento di opere precedenti distrutte, sfaldate e ricollocate in un nuovo contesto, come in Kali, sono l’immagine più nitida di quell’abiezione – necessaria - di cui vorremmo liberarci, ma che è sempre lì, presente.
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Caterina Silva, Soggetto. Oggetto. Abietto. (Subject. Object. Abject.)
Preview 29th April 2015 h. 6.30 pm
30th April – 18th July 2015
Riccardo Crespi gallery presents Soggetto. Oggetto. Abietto. (Subject. Object. Abject.) a solo show by the Italian artist Caterina Silva based at the Rijksakademie in Amsterdam.
Caterina Silva investigates, through painting, the primary emotions – fear, joy, delirium – that drive the human being to the creative act.
The title of the exhibition plays on the musicality of words that recall – well away from a nursery rhyme - the complexity of the dialectic as studied by Julia Kristeva in her text Pouvoirs de l'horreur. Essai sur l'abjection, 1980 (Powers of Horror: An Essay on Abjection). According to the renowned linguist, abjection is a necessary step to build the identity, likewise it becomes part of the works by Catherine Silva packed with characters and imaginary stories embodied by forms and signs in summarized narratives.
Oil on canvas is the starting point for a careful analysis of the potentialities of painting itself and its ability to convey a meaning: Caterina Silva asserts that her works are full of meaning, and yet she refuses to establish a code (or perhaps to reveal it) in order to adhere completely to a non-systemic and non-hierarchic ideal, parallel to and consequent on gender studies – a recurrent theme in her work – and the influences of Hindu culture.
Emblematic in this sense are the works, Durgality and He, which refer respectively to the Hindu Mother Goddess, a creative and unapproachable force, and to the male principle, embodied solely by its pronoun. While the representation of the female assumes a freer form, to the point of presenting an addition of canvas on canvas, the work He frames – in the real sense of the word, as it is the only canvas with a frame – an absence. To be precise, the recurrent motif of the hole in the canvas or the fragment of earlier works that have been destroyed, broken up and put back in a new context, as in Kali, is the clearest image of that – necessary – abjection from which we would like to free ourselves, but which is always there, present.