Montagna sacra

Informazioni Evento

Luogo
LES MAISONS DE JUDITH
Pra Sec - Val Ferret , Courmayeur, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Tutti i giorni dalle h. 11.30 alle 16.30

Vernissage
18/07/2015

ore 14.30

Contatti
Telefono: +39 3355994391
Email: delegazionefai.aosta@fondoambiente.it
Biglietti

ingresso libero

Patrocini

Sponsor tecnici: Björk Swedish Brasserie - Valgrisa

La mostra è realizzata grazie ai prestiti gentilmente concessi da:
Collezioni private, Galleria Continua, Repetto Gallery, Archivio Cosimo Zappelli

Artisti
Richard Nonas, Michelangelo Pistoletto, Pier Paolo Calzolari, David Tremlett, Stefano Arienti, Gregorio Botta, Sabrina Mezzaqui
Generi
arte contemporanea, collettiva

Per il secondo anno consecutivo l’associazione culturale Art Mont Blanc, fondata da Glorianda Cipolla nel 2010, propone una raffinata mostra di arte contemporanea allestita in due baite da fiaba lungo la Dora, già esistenti come fienili nel 1740.

Comunicato stampa

Per il secondo anno consecutivo l’associazione culturale Art Mont Blanc, fondata da Glorianda Cipolla nel 2010, propone una raffinata mostra di arte contemporanea allestita in due baite da fiaba lungo la Dora, già esistenti come fienili nel 1740.

Quest’anno l’evento clou dell’estate a Courmayeur, in Valle d’Aosta, viene organizzato in collaborazione con il FAI - Fondo Ambiente Italiano Valle d’Aosta, perché in mostra non si vedranno soltanto opere d’arte che evocano il tema della montagna sacra, ma anche inedite immagini di Walter Bonatti (1930-2011) provenienti dall’Archivio Zappelli e un video che lo vede con Cosimo Zappelli conquistare la parete Nord della Grand Jorasses nel gennaio del
1963, l’ultima del grande trittico (con Cervino ed Eiger) a opporsi strenuamente a tutti i
tentativi di scalata invernale.

«Se ti è nato il gusto di scoprire – scriveva Bonatti - non potrai che sentire il bisogno di andare più in là. Al Monte Bianco sono sempre ritornato, anche dopo tanti anni e l'ho fatto come si può tornare a un padre per dialogare, con tutto l'affetto e i ricordi che un figlio cerca nei suoi genitori».
La mostra lo ricorda nell’anniversario dei cinquant’anni dalla sua leggendaria prima invernale al Cervino, compiuta dalla parete Nord, in solitaria, tra il 18 e il 22 febbraio. Agli inizi del
1965 Walter Bonatti era, a tutti gli effetti, un ex alpinista: aveva chiuso con le grandi scalate. Tutto quello che si poteva fare, Bonatti l’aveva fatto, usando gli stessi strumenti tecnici dei grandi alpinisti che lo avevano preceduto. L’unico modo, diceva lui, per misurarsi direttamente con loro, per capire se davvero egli fosse in grado di passare dove gli altri si erano fermati. Era passato, sempre. E aveva voltato pagina.
Intervistato subito dopo la mitica impresa, l’aveva dedicata all’Europa Unita, una visione che
in quegli anni avevano in pochi, uomini e donne mossi dagli stessi ideali dei Padri fondatori:
la pace, l'unità e la prosperità del Continente Europa.

Fin dall’antichità l’uomo ritrova se stesso in cima a un monte. La vetta diventa il luogo privilegiato dell’incontro tra cielo e terra, tra divino e umano, tra il Creatore e la sua creatura. Sulle vette il tempo scorre in un modo diverso: si ha l’impressione di poterlo possedere, come un dono prezioso, che altrove si è perduto. L’azione di salire una montagna diventa, perciò, immagine di evoluzione spirituale e metafora del processo artistico. Lo stesso percorso di leggerezza e di gravità che va dall’artefice alla sua opera.
Chiamati a superare i propri limiti, l’alpinista e l’artista escono da loro stessi, in un patire supremo e in un contemplare puro.

La mostra invita il visitatore a riflettere sulla bellezza di questa sfida e sul senso ultimo della conquista. Il sentimento del sacro che ogni montagna suscita diventa miccia e infiamma le opere esposte: l’installazione permanente di granito Bones (2014) di Richard Nonas (1936) e quella transitoria di Stefano Arienti (1961), un Castello di legno (2015) carta e granito dove il sapere stampato, contenuto all'interno dei libri, lentamente potrà essere rilasciato nell'ambiente secondo il ritmo biologico delle stagioni o i tempi della geologia, comunque in una forma diversa da quella dell'azione umana. La tarsia lignea Senza titolo (2014) di David Tremlett (1945) e la struttura di sale, legno bruciato e piombo Senza titolo (1986) di Pier Paolo Calzolari (1943) che, sopra una
base di strati di piombo, pone una colonna di brina - il bianco assoluto della purezza – e la innalza nel mezzo di un ampio rettangolo di legno bruciato. Michelangelo Pistoletto (1933) espone l'Autoritratto di stelle (1973), un’opera dove una sagoma di uomo, finemente stellata - una fotografia su due trasparenti e scorrevoli pannelli di plexiglas - rievoca il Doppio come coscienza, espansione, confronto, dialogo insieme intimo e cosmico, privato ed universale. Gregorio Botta (1953) propone Nessuno resta defraudato dal cielo (2015), è una grande lastra di pesante piombo verticale e sassi, solcata da sette scalini di vetro. Sette versi poetici accompagnano la salita: i primi sei sono di Emily Dickinson e dicono dell’attrazione verso il cielo e della necessità del percorso. L’ultimo, quello più vicino alla vetta, è di Walter Bonatti: «La felicità ci aveva fatto volare». Di Sabrina Mezzaqui (1966) viene presentato Eternità (La Regina delle Nevi) (2011), una scatola di ghiaccio e acciaio inox. Sulla lastra di ghiaccio appare scritto ETERNITÀ. «È un’immagine rubata dalla fiaba di Andersen “La Regina della neve” – spiega l’artista – dove tutti i personaggi sono di sesso femminile tranne uno. È il bambino rapito dalla regina cattiva che costringe il piccolo Kay a scrivere la parola eternità nel ghiaccio; solo così potrà diventare padrone di se stesso, del mondo e di un paio di pattini nuovi. Ma il bambino non ci riesce, perché la lastra di ghiaccio continua a sciogliersi …».

La mostra è un invito a riflettere, ma anche a mettersi in gioco, come esortava lo scrittore Rudyard Kipling: «Vai e cerca dietro alle montagne. C’è qualcosa di smarrito dietro alle montagne. È smarrito e ti aspetta. Vai a trovarlo. Vai!».