Giulia Manfredi – Ouroboros
La mostra di Giulia Manfredi nasce da una riflessione degli elementi caratterizzanti della ceramica faentina.
Comunicato stampa
La mostra di Giulia Manfredi nasce da una riflessione degli elementi caratterizzanti della ceramica faentina. Una ceramica dipinta e con temi prevalentemente naturalistici fronteggia così le resine con inserimenti vegetali dell’artista. E se per Louis Marin l’opacità è consustanziale alla pittura stessa1 , allora la mostra di Giulia Manfredi all’interno di questi spazi si presenta come una risposta tanto alla tecnica quanto all’iconografia delle opere esposte. Le resine, la cui trasparenza è evidenziata da un sistema di luci, rifiutano qualsiasi matericità (opponendosi quindi all’idea del supporto su cui la pittura deve necessariamente svilupparsi). Gli elementi naturali prescelti dall’artista diventano il nostro solo riferimento materico. Una materia che è analizzata secondo due metodologie operative: negazione della stasi ed accentuazione della stessa. L’elemento naturale (il corallo, la pianta) vengono immobilizzati all’interno della resina. E’ l’organizzazione spaziale dell’opera a suggerire un movimento in potenza, come nel caso dei tre coralli esposti in sequenza, in una linea ascendente. Un’idea di movimento che diviene invece esplicita nel libro che “respira”, in cui le pagine del volume si muovono lentamente, come ad evidenziare che nulla è immobile, specie la conoscenza. Un movimento continuo in cui nulla finisce e sempre si rigenera, come nel caso del video interattivo in cui, davanti ai nostri occhi, la natura morta si deteriora gradualmente per poi tornare alla sua integrità. Un processo che nega l’idea stessa del bodegon come memento mori, che combatte l’idea della fine con la rinascita insita nella ciclicità naturale. Come per l’ouroboros, il serpente che si morde la coda, l’impianto della mostra ha un andamento perfettamente circolare, obbligando lo spettatore a muoversi lungo il perimetro del primo piano. La ricerca dell’artista si base su una ciclicità che si riflette tanto nelle opere quanto nell’organizzazione del percorso espositivo. Partendo dalle piante in resina –nature congelate eternamente vive o eternamente morte- l’artista ci obbliga a fronteggiare il video – che apre ad una rinascita - per portarci davanti allo specchio dell’opera finale –dove contempliamo il rinnovamento. Ecco dunque che il ciclo diventa parte integrante della creazione; come l’ouroboros è simbolo dell’universo, di un’evoluzione che si racchiude in sé stessa, le opere di Giulia Manfredi si nutrono della «dialettica materiale della vita e della morte che esce dalla vita»
Giulia Manfredi’s exhibition is conceived as a reflection upon the recurrent elements of the ceramics made in Faenza. Her works, resins with natural elements, are facing the ceramics, mostly painted with natural decorations. And if it is true –as Luis Marin3 wrote- that opacity is consubstantial to painting, then her intervention seems to challenge the ceramics exhibited in the museum (both their technique and their iconography). The works are characterized by an absolute transparency – that is remarked by the illumination system- and they refuse any material (therefore fighting the materiality of the surface through which painting has to develop). The artist prefers to choose natural elements that will become the main material of her works. She challenges the material by following two approaches: by negating the stasis and by emphasizing it. The natural element (the coral, the plant) are frozen in the resin. The spatial organization of the work 1 L. Marin, Opacité de la peinture : essai sur la représentation au Quattrocento, Paris, Usher, 1989. (traduz. italiana: Louis Marin, Opacità della pittura: saggio sulla rappresentazione del Quattrocento, Lucca, La casa Usher, 2012). 2 L. Troisi, Dizionario dell’alchimia, Foggia, Bastogi Editore, 1997. 3L. Marin, Opacité de la peinture : essai sur la représentation au Quattrocento, Paris, Usher, 1989. of art suggests a potential movement, as in the case of the three corals that are exhibited in sequence, following a rising line. On the opposite, the idea of movement is more explicit in the “breathing” book, in which the pages are slowly moving, underlining that nothing stands still, especially knowledge. A continuous movement in which, as in the case of the still life that deteriorates and goes back to the previous integrity in the interactive video, nothing finishes and everything starts again. A process of recreation that negates the idea of the bodegon genre as a memento mori, fighting the idea of death with the inborn cyclicality of nature. The exhibition has a cyclical structure, as the ouroboros -the snake that bites its tale- obliging the spectator to walk in circle, following the outer edge of the first floor. The artist’s research is based upon cyclicality, and this is reflected both in her work and in the exhibition path. Starting from the plants – a frozen, an eternally living or eternally dying matter- the artist forces us to watch the video – in which we assist to a rebirth- and finally she guides us in front of the tree reflected in the mirror- in which we can contemplate the renovation. In other terms the cyclicality becomes an integral part of the artistic creation; as the ouroboros, symbol of the universe and of an evolution that ends in itself, Manfredi’s works are based on the «material dialectic of life and of death coming from life.