Joan Miró a Villa Manin. Soli di notte
Una mostra evocativa ricostruisce l’universo di Miró negli ultimi trent’anni di vita: l’atmosfera dei suoi studi maiorchini, la ricerca della solitudine e la radicale trasformazione della sua arte.
Comunicato stampa
“…entro nel mio studio e sono attratto come da un magnetismo…sono nella mia caverna, sono come un bambino nella sua culla”.
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C’è una fase del percorso artistico di Joan Miró che straordinariamente chiede ancora di essere indagata e che ci mostra un artista in dialogo con se stesso,
alla ricerca di un rinnovamento creativo di contenuti e di forme.
S’intitola “Joan Miró a Villa Manin. Soli di notte” la nuova e appassionante mostra in programma a Villa Manin di Passariano (UD) dal 17 ottobre 2015 al 3 aprile 2016: un’occasione per scoprire nuovi affascinanti aspetti dell’ultima fase creativa e del mondo interiore di uno dei grandi protagonisti dell’arte del Novecento.
Un progetto espositivo originale, che propone circa 250 opere, tra grandi dipinti, sculture, disegni, schizzi e progetti dell’artista provenienti dalla Fundació Pilar i Joan Miró di Palma di Maiorca e dalle collezioni degli eredi - con alcune interessanti sorprese e anteprime - arricchiti da documenti originali e tanti oggetti personali dell’artista e da un eccezionale focus di circa 50 scatti fotografici su Miró dei maggiori fotografi del tempo: Bresson, Mulas, Brassai, List, Man Ray, Halsmann, Gomis e tanti altri.
Soprattutto, una mostra che vuole essere assolutamente evocativa dei luoghi, degli ambienti, dei suoni, delle emozioni che hanno accompagnato il pittore catalano negli ultimi trent’anni di vita trascorsi a Palma di Maiorca, ispirando dal 1956 al 1983, anno della sua morte, un radicale mutamento espressivo e tecnico del suo lavoro e della sua straordinaria arte.
In quegli anni Miró infatti, nella solitudine dei due studi di Maiorca - lo studio Sert progettato per lui dall’amico architetto Luis Sert nel 1956 e lo studio Son Boter successivamente realizzato per le sculture di grandi dimensioni, in un vicino edificio del XVII secolo – intraprende un processo di profonda analisi critica del lavoro precedente e di trasformazione.
A 63 anni l’artista ha finalmente a disposizione un luogo dove isolarsi e vivere a stretto contatto con le sue opere; non un semplice contesto architettonico, bensì uno spazio protetto, dove far maturare nel tempo i suoi dipinti, favorendo dialoghi fra essi; un grande spazio per “sognare” e “avere allucinazioni”; un contenitore per essere soli davanti alla vertigine della creazione. Concetto rimarcato dalle sue stesse parole: “quando non avevo uno studio tutto mio, stavo molto scomodo: avevo bisogno di solitudine”.
“Soli di notte”, suggerisce il titolo della mostra.
Nella luce dell’isola di Palma, la pittura di Miró si spoglia, si distilla e perde cromatismi per lasciare sempre più spazio al segno immediato e violento, alla progressiva semplificazione del gesto espressivo e al nero: un nero drammatico e definitivo, che testimonia la ricerca dell’artista intorno ai temi del silenzio e del vuoto.
Una produzione ben diversa dalle opere del periodo surrealista degli anni Trenta, come evidenzia, emblematicamente Oiseaux dans un Paysage del 1974: dipinto scelto come immagine della mostra, proveniente da una collezione privata di Palma di Maiorca ed esposto in Italia solo all’inizio degli anni ’80.
L’ambiente in cui finalmente può operare gli permette anche nuove sperimentazioni: messo da parte il cavalletto Miró lavora prevalentemente a terra; può camminare o sdraiarsi liberamente sul quadro; lascia che il colore fresco in eccesso coli sulla tela; utilizza per i fondi delle opere - quando policromi - la stessa trementina usata per pulire i pennelli: macchie, spruzzi, sgocciolature casuali dalle quali Miró procede a tracciare segni violenti e dinamici; i personaggi scaturiscono dallo sfondo, delineati sempre da linee nere molto forti.
Alla base di questa maturazione anche un'attenta autocritica alla sua produzione precedente che finalmente può agevolmente osservare: “nel nuovo studio per la prima volta avevo uno spazio, potevo disimballare casse di opere che si accumulavano di anno in anno….tirando fuori tutto a Maiorca iniziai a fare un’autocritica”.
Lo studio, come lui stesso dichiara, diventa un orto, un giardino interiore, un territorio, un recinto sacro.
Così il rapporto con l’ambiente e con il contesto del suo operare diventa personale e stringente, fondamentale e funzionale in ogni dettaglio alla sua creatività: un’alchimia, una magia che la mostra a Villa Manin ambisce a ricreare attraverso relazioni e interconnessioni tra capolavori esposti e materiali di approfondimento.
Un progetto curatoriale assolutamente originale affidato a Elvira Cámara López e Marco Minuz per un mostra - promossa dall’Azienda Speciale Villa Manin e dalla Regione Friuli Venezia Giulia, insieme alla Fundació Pilar i Joan Miró di Palma di Maiorca con cui si è stata avviata una prestigiosa collaborazione - diversa da precedenti esposizioni sull’artista in Italia.
Per Miró non era stata causale, del resto la scelta di Palma di Maiorca per lo studio “rifugio”, lo studio “scrigno” o “caverna”, ove l’atto creativo doveva potersi liberare, sollecitato da un universo di oggetti, di pennelli, colori e annotazioni: piccole frazioni di segno e di senso da riassemblare alla ricerca di nuovi linguaggi. A Maiorca era nata sua madre e il pittore di Barcellona fin da piccolo trascorreva dai parenti le vacanze estive; qui aveva conosciuto Pilar, divenuta sua moglie nel 1929,
e nell’isola spagnola si era rifugiato, tra il 1940 e il 1942, durante l’invasione nazista della Francia ove viveva al tempo.
Miró cercava dunque un luogo dei ricordi, un luogo degli affetti, un luogo dell’anima per ripensare la sua arte e trasformarla completamente.
Un sentire interiore e una lenta maturazione espressiva - stimolata anche dall’incontro con la cultura giapponese e dalla grande stagione dell’espressionismo astratto americano del secondo dopoguerra - che diventano il filo conduttore del percorso espositivo a Villa Manin, capace di condurci nell’universo privato di questo artista onirico e passionale e, attraverso esso, di farci comprendere la trasformazione della sua arte.
Così in mostra verrà per esempio ricreata per la prima volta - con gli oggetti originali che giungeranno a Villa Manin per l’occasione - la “stanza rossa”, sorta di studiolo rinascimentale privatissimo e mai aperto al pubblico ricavato all’interno di Son Boter, in cui Miró amava riflettere seduto sulla sua poltrona, con appesi alle pareti i ritratti a olio dei suoi genitori e, accanto, la foto di due figure importanti: il conterraneo Pablo Picasso e il “cappellaio” Joan Prats, primo mecenate e collezionista dell’artista.
Quindi un vero e proprio cortocircuito emotivo con un’installazione multimediale appositamente commissionata per l’occasione al musicista e compositore Teho Teardo,
che mescola suoni e immagini raccolti sull’isola e nello studio di Palma, dando vita a un lavoro artistico di grandissimo impatto.
Infine Son Boter : lo studio realizzato nel 1959 in un caratteristico edificio rurale accanto alla proprietà di Miró, con all’interno anche un laboratorio di incisione e stampa,
viene rievocato in mostra in una apposita sezione. L’artista utilizzava le pareti di calce bianca come un taccuino di appunti, con graffiti a carboncino e annotazioni per progetti scultorei ancor oggi ben visibili. In mostra saranno allora esposte sculture, alcune di notevoli dimensioni e impatto, con gli schizzi e i progetti relativi ma anche molti degli oggetti personali - statuette tribali e siurells, le tradizionali ceramiche maiorchine che possono essere suonate – che Miró amava accumulare nello studio: “tutto ciò che lascio entrare qui
è collegato al mio lavoro, sono cose che fungono da promemoria, cose di cui ho bisogno come atmosfera”.
Un’ “atmosfera” creativa che si vuol far rivive a Villa Manin, perché la forza spirituale e la libertà dell’ambiente maiorchino sono state una miscela magica che
ha permesso al maestro catalano di sconvolgere e rivoluzionare il suo percorso artistico lasciando un messaggio di profonda interiorità: “ciò che mi interessa non è che resti li il quadro, ma la sua irradiazione, il suo messaggio, quello che farà per trasformare un poco lo spirito delle persone”.
Originale nei contenuti e nei percorsi proposti – con approfondimenti sulla musica, la filosofia, la grafica in Miró - anche il catalogo che accompagna la mostra, edito da Skira. Accanto ai testi di Elvira Cámara López, Marco Minuz, Massimo Donà, Joan Punyet, Bordas Hervas, anche un’introduzione inedita di Yvon Taillandier e alcune interviste realizzate appositamente per l’evento a protagonisti del Novecento che ricordano il genio catalano: da Sylvano Bussotti - che nell’81 compose le musiche de “L’uccello luce” rappresentato al Teatro La Fenice di Venezia con le scenografie e i costumi creati da Miró – a Valerio Adami che frequentò Miró negli anni parigini nella “scuderia” di artisti di Aimé Maegh.