Massimo Lagrotteria – Malacarne
In mostra oltre 20 dipinti di piccolo, medio e grande formato dell’artista emiliano Massimo Lagrotteria.
Comunicato stampa
laranarossaGALLERY presenta Malacarne, la prima personale della nuova stagione espositiva.
In mostra oltre 20 dipinti di piccolo, medio e grande formato dell'artista emiliano Massimo Lagrotteria.
Il progetto espositivo prende il titolo dal ciclo di opere Malacarne in cui protagonista assoluto è il volto, con presenze che si rivelano fragili, cedevoli come a riflettere anime sofferenti in balia dell'ignoto.
E’ istintivo, ma non implicito, associare Malacarne a I Malavoglia, l'opera in cui Verga descrive l’apersonalità della società attuale, il soggiacere agli eventi così come negativamente accadono negando le individualità e i desideri per lasciarsi vivere. Malavoglia e Malacarne, il malessere, la malattia, la putridescenza delle cose e dei soggetti: Lagrotteria sembra descrivere con i suoi personaggi la sofferenza nella disperata ricerca di evasione dal proprio stato e la triste condizione di ignonimia, figure fiere del proprio essere, Essere Malacarne. L'Artista propone i soggetti in pose statiche a cercare l’ammirazione degli astanti, nulla da nascondere, conferma dell’abbandono della possibilità di reclamare la propria libertà. Sono così, veri, come molti, esistono come figure accennate, non spettri, essenze inutili da dettagliare, emanano il malessere della condizione umana.
Ersilia Sarrecchia e Marco Ramundo
SINDONI PER UN'IDEA CONTEMPORANEA DI GLORIA
In un momento storico come il nostro, caratterizzato da un’arte multiforme e fluttuante, fatta di voci diversissime e spesso dissonanti, capita ogni tanto di imbattersi nella vera pittura. [...]
Sperimentatore instancabile, innamorato dei materiali della pittura, Lagrotteria negli anni ha sperimentato anche il cartone, il ferro, il rame, estraendo da ogni elemento una voce nuova e purissima, ma sempre solidamente coerente al contesto della sua poetica; che fossero scie di colore sulla grana ruvida della tela o toni serici, liscissimi, stesi morbidamente sul metallo. Nelle opere in mostra ora –dai fondi scuri, spesso preparati a bitume, spazi indefiniti fatti di ombre, talvolta dissolti in colature liquide che creano spiazzanti giochi di piani – i visi e le figure emergono pallidi e luminosissimi. Qualche volta sono appena definiti, ammantati di un’aura sacrale come sindoni contemporanee (e l’uso di lasciare spesso gli occhi chiusi enfatizza la suggestione mistica), qualche volta risultano più netti e definiti, illuminati da una luce interiore, resi icone di una quotidianità dove la gloria non è più questione di vite eroiche e leggendarie, ma è piuttosto un fatto estemporaneo, fugace, risolto (e dissolto) in pochi attimi.
Sono figure ieratiche e di un’eleganza antica, fanciulle spettrali dalla pelle lunare, vagamente livida, resa attraverso un uso sapientissimo della materia pittorica; visi che appaiono illuminati come da un’immanente traslucenza rosata, quasi più spirituale che fisica. Con una potenza di linguaggio che lo accomuna alla poetica di Marlene Dumas o di Maria Lassnig, con una capacità di cogliere l’anima nel volto che ricorda per certi versi Lucien Freud e un senso dello spirituale e dell’onirico non lontani dal percorso dell’italiano Nicola Samorì, Massimo Lagrotteria crea una galleria di figure che più che uomini e donne ci appaiono pura umanità. Questa umanità contemporanea spesso sconfitta e dolente. [...]
Alessandra Redaelli