A Trilogy
A Trilogy scandisce il ritmo di tre appuntamenti per un programma di opere video dal quale emergono, attraverso lo sguardo di tre artiste, visioni maturate tra il 2008 e il 2015, gli anni della “crisi infinita”, come li definisce il filosofo ed economista Christian Marazzi.
Comunicato stampa
A Trilogy scandisce il ritmo di tre appuntamenti per un programma di opere video dal quale emergono, attraverso lo sguardo di tre artiste, visioni maturate tra il 2008 e il 2015, gli anni della “crisi infinita”, come li definisce il filosofo ed economista Christian Marazzi.
Da latitudini diverse e secondo differenti approcci, le artiste Mary Zygouri, Eva Frapiccini e Marianne Heier scelgono, con una prospettiva aperta tra passato e presente, di confrontarsi con i temi della storia, dell’economia e della politica, indagando le molte forme e retoriche del potere e offrendo, ciascuna, la propria “contromossa”.
Attraverso il video e la pratica della performance, spesso applicata all’archivio e a storie e personalità del passato dimenticate quanto eloquenti per leggere il presente politico, l’artista greca Mary Zygouri orienta la sua ricerca alla creazione di “una poesia politica e civica”. Nella trilogia Zoopolitics-Zoopoetics usa l’allegoria come strumento critico per sviluppare la sua indagine sulle forme del potere e le convenzioni sociali e culturali che lo alimentano. Con un bagaglio mentale che spazia da Kafka a Derrida, alle riflessioni sulla massa di Elias Canetti, in Symbiosis, uno dei suoi lavori più noti, Zygouri interviene in un allevamento di polli. Girata nel 2007 nell’azienda torinese La Bellotta, la video performance mostra l’artista nei panni di una figura autoritaria che, attorniata da migliaia di polli, è impegnata nell’atto di trascrivere a macchina dati e informazioni. La situazione è insieme surreale, perturbante e ironica e si ispira a un episodio della vita politica argentina, quando nel 1946 Jorge Louis Borges venne punito per le sue critiche al nuovo governo di Juan Perón con la nomina a ispettore del pollame al mercato di Buenos Aires. Negli altri video della trilogia -Decadence, 2008 e Long Live the King, 2010- una parata attraverso un paesaggio assolato di campagna e il corpo a corpo con un elefante nel backstage di un circo costituiscono le “mosse” con cui l’artista ridefinisce ruoli, gerarchie e codici dell’autorità.
Con il video Magnifici misteri, presentato nel 2012 al Castello di Rivoli, Eva Frapiccini approfondisce e apre un nuovo capitolo della sua ricerca sui luoghi segnati dalla storia, avviato con Muri di piombo (2005-2007) in relazione alla drammatica stagione del terrorismo italiano. Collezionista di sogni (Dreams’ Time Capsule, 2012), di luoghi e di storie, autrice di musei dedicati a personaggi di finzione, quali il fisico Aleksander Prus Caneira (Museo Caneira, 2011), per molti versi affine all’avvocato e ornitologo Dimitrios Zalouchos ideato da Mary Zygouri (Fattening Cells, 2009), Frapiccini articola lungo l’asse temporale di passato, presente e futuro la sua revisione critica delle diverse forme di auctoritas che codificano il nostro rapporto con il sapere. In Magnifici misteri l’artista affronta l’intreccio tra memoria e storia a partire da un racconto di famiglia legato alla risalita dei tedeschi lungo l’Italia negli ultimi tragici momenti della seconda guerra mondiale.
Protagonista è nuovamente un animale, una cavalla che i tedeschi in fuga rubano, insieme ad altri beni, alla famiglia contadina dell’artista provocando, negli uomini che si erano nascosti per sfuggire al nemico, l’irrazionale impulso a uscire allo scoperto nella vana ricerca dell’animale. “Un gesto alla Saramago” racconta Frapiccini, frutto di un movente affettivo, prima che necessario, che fornisce l’incipit e la temperatura emotiva di un intreccio tra storia ascoltata, immaginata e ripercorsa nel presente. Una trilogia di prospettive e tempi, che si dipana con i passi di vittime, carnefici, protagonisti, narratori e di una cavalla che si perse e che “ritorna”, e nel suo incedere invita la storia a farsi poesia.
Anche l’artista norvegese Marianne Heier opera principalmente attraverso performance in cui la sua presenza è spesso legata alla enunciazione pubblica di discorsi o lecture, coniugando l’azione, l’immagine e l’apparato testuale. I tre video presentati in galleria non costituiscono una trilogia ma condividono un’articolata riflessione sull’economia a partire da questioni quali il valore, il merito, il profitto e la speculazione nell’epoca del neocapitalismo finanziario globale. Nel caso di Diamond (2012), video performance realizzata in occasione della sua personale alla Kunsthall di Bergen, l’artista incentra il suo progetto, come già in altre occasioni, sull’economia del dono, forma economica primigenia e radicale, relazionale piuttosto che individualista, come ricordò Marcell Mauss (“il dono è parte di un’economia primitiva indissolubilmente legata alla socialità e alla vita”): un atto libero che però vincola e deve essere ricambiato, contribuendo a rinsaldare il legame sociale. Un diamante di 1,26 carati, acquistato da Heier con il proprio lavoro, viene da lei donato al museo e incastonato nella facciata: un talismano, un’opera d’arte, un gioiello, un dono che, come per l’opera site-specific donata al Maihaugen heritage Museum di Lillehammer (Saga Night, 2008), obbliga a rivedere convenzioni e politiche culturali. Rievoca lo slogan “We are the 99%” pronunciato durante le manifestazioni del movimento Occupy il video dal titolo Onepercenter, (2015), la percentuale della minoranza dove si concentra la ricchezza, misura paradossale di un crescente e dilagante stato di ineguaglianza sociale parallelo a un processo di espropriazione esteso a tutti i campi dell’esistenza. Le immagini ci introducono nell'asettico ufficio di una società immobiliare tra corridoi e superfici lucenti, e, ai margini dello sguardo, rivelano l’apparizione di un corpo collettivo che si insinua negli spazi, incarna misteriose forme, e sollecita a immaginare nuove storie.
Francesca Comisso