Danilo Maestosi – Atlante inquieto
In esposizione oltre venti dipinti su tavola, emblematici della ricerca pittorica dell’artista che si è sviluppata in questi anni e dodici ceramiche inedite che ha realizzato nella scorsa estate.
Comunicato stampa
Giovedì 4 febbraio, alle ore 18,00, presso Plus Arte Puls, si inaugura la mostra dell’artista, giornalista e critico d’arte Danilo Maestosi dal titolo Atlante inquieto, a cura di Ida Mitrano e Rita Pedonesi, con testi di Ida Mitrano, Gabriele Simongini e una testimonianza dello stesso Maestosi.
In esposizione oltre venti dipinti su tavola, emblematici della ricerca pittorica dell’artista che si è sviluppata in questi anni e dodici ceramiche inedite che ha realizzato nella scorsa estate. La mostra si apre con un breve prologo che parte da un’opera realizzata sulla forza oscura della natura (2012), prosegue con dipinto sul naufragio dei migranti (2013) e con altre quattro tavole del ciclo “Innesti”. Ognuna di queste opere, come le altre più recenti in mostra, si riferisce a una divinità: Plutone, Vulcano, Gea, ed altre.
Nella presentazione critica Ida Mitrano scrive: “Danilo Maestosi cerca tra il cielo e la terra, in quello spazio che tutto racchiude, il tempo della storia e oltre. Affiorano oblii, latenze, tracce. Memoria sedimentata, memoria fertile, memoria che vive. Memoria come possibilità di ridare significato alle cose. Memoria contro l’inquietudine dei tempi. Là, in quello spazio, l’artista dialoga con Mnemosine, figlia di Urano, il cielo, e di Gea, la terra. Mnemosine, non a caso donna. Donna che accoglie, raccoglie, custodisce. Ventre gravido di memorie. Mnemosine, personificazione mitologica della memoria. Mnemosine, presenza silenziosa, testimone della storia, figura amata e odiata, rispettata e rinnegata. Pur nello spaesamento, condizione quanto mai attuale della nostra epoca, Maestosi si confronta con i miti, con la continuità del racconto umano, con la complessità del presente di cui oggi vive i dubbi, i timori, la perdita di orientamento ma non dà risposte, né propone approdi. Si affida, invece, a ciò che emerge dal profondo come unica possibile via di rincontro con la vita.
Non più punti fermi, non più certezze. Non più narrazioni ma solo frammenti. E nello spaesamento, l’opera diviene segno, visione significante. Pagine di un racconto perduto, con i loro vuoti e i loro pieni, con i loro silenzi e i loro rumori, con le loro pause e i loro ritmi. Pagine di un atlante, l’Atlante inquieto di Danilo Maestosi.” (…)
Gabriele Simongini, dedica il suo testo critico alle ceramiche e così le definisce: “ (…) Le presenze, le forme e i colori di queste ceramiche cercano un senso, un assestamento, una stabilità impossibile, s’aprono, si contrappongono, s’agitano, si mescolano come carte da gioco gettate alla rinfusa e desiderose di ritrovare un ordine. Si intrufolano con piccoli scarti nelle pieghe del “sistema” per vedere che c’è sotto e magari ricominciare daccapo. La primordialità scarnificata della ceramica conduce Maestosi verso un’essenzialità purificata, ridotta all’osso ed al segno primario, tanto da dover immaginare come diventeranno i colori maneggiati all’inizio come pigmenti polverosi. Tutto si trasforma e procede nella danza unitaria di vita e morte, “mai nulla s’annulla”, cantava Walt Whitman. E così fra mille fratture e cadute, quasi inconsapevolmente, le forme fantasmatiche catturate da Maestosi finiscono spesso col ricomporsi in una sorta di ordine instabile, precario, turbolento, forse impossibile. Sono sempre sull’orlo del precipizio. E viene alla mente la vertigine di Pessoa: “Noi non ci realizziamo mai. Siamo due abissi: un pozzo che fissa il Cielo”.”
Nella sua intensa testimonianza l’Artista annota: “Il mondo cambia. Si espande, si contrae, fugge in avanti o all’indietro tra errori ed orrori. Difficile stargli appresso perchè cambia anche noi. Ci toglie bussole, parole per dirlo. Una geografia sconnessa di paesi ed emozioni da reinventare. L’atlante spaesato del dentro e del fuori che provo ad abbozzare con gli appunti di questa mostra, segni annegati nel bianco che sempre più mi appare sulla scia di Kandinsky come un colore di rigenerazione. Inseguendo un mio sogno d’infanzia quando pensavo che prendere e aggiornare le misure del nostro pianeta fosse mestiere da pescatori, la griglia di paralleli e meridiani come una rete da tirar sù e rammendare ogni tanto. L’ho fatto, ripetendo con raschietti e pennelli quel guizzo di fantasia. E tra le maglie scivolose ho visto riaffiorare, tra macerie e rovine, tracce di pensieri interdetti o inconsapevoli, relitti numinosi di miti abbandonati come strumenti inservibili e invece ancora preziosi a proseguire il racconto per l’uomo che verrà. A far da specchio e da filtro all’esterno che ci aggredisce, agli impulsi spenti e disorientati che resuscitano dubbi. Schegge di un universo fluttuante tra passato e futuro che ho cercato di fissare nelle lastre di ceramica- una caccia ai fantasmi- inserite tra le pagine di questo Atlante inquieto.”