Luigi Carboni – Chi può aver camminato sull’erba?
L’esposizione presenta un nutrito gruppo di opere recenti, tutte inedite, in cui classicità e sperimentazione convivono in una dialettica del paradosso. Rinunciando a ogni perentoria dichiarazione di metodo, l’artista pone l’attenzione sul confine tra la figurazione del quotidiano e l’astrazione lirica, tra lo stile decorativo ed espressioni più intimistiche.
Comunicato stampa
«L'artista vive l'arte come atto di conoscenza. Come vedente, veggente e visionario ». Con queste parole Luigi Carboni introduce la sua mostra personale, che il MAC di Lissone gli dedica a suggello di una ricerca trentennale (gli esordi dell'artista datano infatti al 1986). L'esposizione presenta un nutrito gruppo di opere recenti, tutte inedite, in cui classicità e sperimentazione convivono in una dialettica del paradosso. Rinunciando a ogni perentoria dichiarazione di metodo, l'artista pone l'attenzione sul confine tra la figurazione del quotidiano e l'astrazione lirica, tra lo stile decorativo ed espressioni più intimistiche. In queste opere nulla è offerto direttamente, ma al contempo tutto sembra rivelarsi allo sguardo del pubblico.
I segni, i paesaggi e i corpi si alternano sulla superficie della tela generando piccoli inganni che hanno la parvenza del vero. Questi incontri - in parte visibili, in parte solo suggeriti - danno vita a un flusso di immagini che si disperde nei piani prospettici, nella totale assenza di una spazialità tradizionale. La natura e le figure si sostengono a vicenda, fino a confondersi, creando così una pittura di doppi fondi. Tale accorgimento è dovuto ai fori che appaiono nelle opere, considerati come spazi di sosta e di svuotamento della forma; è grazie a questi fori che Carboni dichiara di non voler descrivere un esterno (la superficie del quadro) ma un interno (ossia la pittura stessa), in cui non viene evocata la realtà ma la sua immagine riflessa. Come racconta l'artista: «Da una parte abbiamo una figura sotto sforzo che ha bisogno di opporsi a un fondo, dall'altra abbiamo queste fessure che si aprono affermando un attaccamento alla profondità, alla memoria, al desiderio. Questi cerchi perfettamente intagliati, quasi geometrici, ci conducono a una realtà individuale, gioiosa e sofferente, dolce e aggressiva. Questi fori sono la via per penetrare nell'opera, per poi poterla abbracciare anche da dietro».
Mantenendosi in bilico tra forma e colore, ritmo e stasi, dettaglio e insieme, ripetizione e unicità, ordine e caos, queste opere possiedono una natura frammentaria e allo tempo stesso unitaria che costringe l'occhio a correggere continuamente il fuoco (primo piano e lontananza diventano di volta in volta struttura, forma, equilibrio). Ogni dipinto si definisce nel labile confine tra la realtà e l'artefatto, costruendo una pittura partecipata, luminosa, calda, e contemporaneamente una pittura distanziata, elegante, fredda. L'invenzione contenuta nelle opere assume quindi le caratteristiche di una riflessione concettuale, in cui la pittura desidera ricreare uno spazio ove sia ancora possibile riflettere sul concetto della bellezza.
Oltre alle opere su tela, la mostra presenta una serie di sculture che sono una diretta emanazione del processo pittorico: un'unione di incertezze e contraddizioni che convivono nella loro diversità. In questa continua ricerca di una dialettica tra entità opposte, Luigi Carboni ritrova le istanze dell'arte e del vivere contemporaneo, proprio perché «l'arte amplifica la realtà: non la copia, non la imita, la ripercuote ».
Disponibile un catalogo monografico con testi di Giacinto Di Pietrantonio, Alberto Zanchetta, Lorenzo Bruni, un'intervista all'artista di Umberto Palestini e un ampio apparato iconografico.