Imre Ámos – Pittore dell’Apocalisse

Informazioni Evento

Luogo
ACCADEMIA D'UNGHERIA IN ROMA - PALAZZO FALCONIERI
Via Giulia 1, Roma, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
11/02/2016

ore 19,30

Artisti
Imre Ámos
Generi
personale, disegno e grafica

La mostra organizzata dall’Accademia d’Ungheria in Roma e a cura di Katalin Petényi e Pál Németh, attraverso una quarantina di dipinti ed una cinquantina di disegni e grafiche, ripercorre la vita artistica del pittore ungherese Imre Ámos (nato nel 1907 a Nagykálló e morto nel 1944 nel campo di concentramento di Ohrdruf – Nord in Turingia).

Comunicato stampa

Prosegue a Roma la serie di manifestazioni previste in occasione della presidenza di turno dell’Ungheria alla International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA). Il prossimo evento in calendario sarà l’inaugurazione della mostra IMRE ÁMOS, PITTORE DELL’APOCALISSE, prevista per giovedì 11 febbraio 2016, ore 19.30 presso l’Accademia d’Ungheria in Roma (Palazzo Falconieri, Via Giulia, 1).

La mostra organizzata dall’Accademia d’Ungheria in Roma e a cura di Katalin Petényi e Pál Németh, attraverso una quarantina di dipinti ed una cinquantina di disegni e grafiche, ripercorre la vita artistica del pittore ungherese Imre Ámos (nato nel 1907 a Nagykálló e morto nel 1944 nel campo di concentramento di Ohrdruf - Nord in Turingia) dalle prime incisioni su linoleum fino agli ultimi lavori realizzati a china su carta straccia e cortecce di betulla, nonché sul quaderno dalla copertina a quadri durante il servizio di lavoro forzato.

Le opere del primo periodo pittorico di Ámos sono caratterizzate da una visione del mondo che si dispiegava nell’armonica unità di spazio e tempo, esperienze che si fondavano con sentimenti mitici e universali, nei quali appariva anche di volta in volta un simbolo di valore generale. Tema ricorrente dei suoi dipinti di questo suo primo periodo era il mondo hasidico di Nagykálló, i rabbini visionari, i vecchi servi del tempio e le figure autorevoli dell’Antico Testamento. Il rabbino miracoloso, la saggezza degli anziani, le candele della notte di venerdì, la preghiera di una madre, nelle opere del pittore si intrecciavano con la calura estiva delle strade assolate e le lunghe ombre del crepuscolo. Proiettando i ricordi del sogno e del mito, egli ricercava nuove strade spirituali e formali. Il desiderio di spiritualità, la gioia della liberazione dai vincoli materiali erano noti ad Ámos dalle leggende hasidiche, le quali evocarono spesso la figura sognante e meditabonda dei rabbini miracolosi e dei cabalisti.

La concezione artistica di Ámos, come scrive egli stesso nel suo diario, è affine a quella di Chagall, Csontváry e Gulácsy. A legarlo a questi maestri erano la sua visione pittorica, il sogno e la fantasia liberatrice, la sua sensibilità per i contenuti nascosti ed esoterici portati alla superficie. La sua affinità a Chagall era dovuta alle loro comuni radici est-europee, alla loro determinazione, educazione, religione, introspezione e alla loro ricerca della verità. Dalla loro sensibilità per il misticismo deriva che entrambi si accostavano al mondo con un impulso emotivo. E mentre la sperimentazione dell’avanguardia artistica europea si concentrava soprattutto su problemi formali, Chagall e Ámos svilupparono una visione basata su un sistema di significati simbolici. I due artisti ebbero modo di confrontarsi personalmente e stringere amicizia in occasione dell’Esposizione universale di Parigi del 1937. Ámos, il cui nome originale fu Imre Ungár, scelse consapevolmente il nome di un profeta minore della Bibbia, sentendo e sposando la missione profetica.

Il secondo periodo artistico di Ámos ebbe inizio nell’anno in cui scoppiò la Seconda Guerra mondiale, l’artista, profondamente attratto dal mito e dal sogno, reagì a tale svolta storica prendendo coscienza della propria responsabilità morale. Più apertamente il fascismo aggrediva l’essere umano, più cresceva la fede e la forza profetica del pittore dal temperamento lirico. Di fronte alle forze tremende del fascismo, per lui l’unico atteggiamento possibile rimase la resistenza spirituale, la protesta attraverso le sue opere. Con la laconicità e l’inequivocabilità dei simboli rese testimonianza sul mondo e su se stesso, sul disfacimento dei valori morali, sulla solitudine dell’essere umano alla mercé della storia, sulla sua umiliazione, sulle sue angosce e paure, sull’inquietudine di chi fu bandito dalla società. In quel periodo mutarono anche i suoi mezzi espressivi. Definì le forme, con contorni potenti. Rispetto ai toni argentei e pastellati dei suoi primi dipinti incominciò ad usare colori forti, rossi incandescenti e blu intensi. Uno dei motivi ricorrenti del suo sistema visionario era l’angelo, che nei quadri di Ámos svolse la funzione del custode del suo passato e della sua infanzia che lo vegliava dalla cima dell’orologio o da dietro di lui. Coi simboli sovrapposti nei suoi disegni egli protestava contro la guerra e i tempi che minacciavano la sua esistenza personale. Il pittore, il testimone dei tempi bui, era minacciato da mille pericoli, ma nei suoi quadri c’era anche il simbolo della speranza. Un motivo ricorrente nei suoi dipinti era infatti l’albero spezzato che nella tradizione ebraica e cristiana è simbolo della vita, del bene e della sapienza.
La breve sebbene altrettanto ricca vita artistica di Ámos può ben definirsi contraria al noto proverbio latino Inter arma silent musae - In tempo di guerra le Muse tacciono, egli infatti continuò a lavorare fino al momento della sua deportazione avvenuta nel 1944.

La mostra è corredata da un catalogo trilingue (ungherese, inglese, italiano) di circa 150 pagine, pubblicato dal CinemaStar Kft. L’album è stato realizzato con il sostegno del Ministero per le Risorse Umane Ungherese e con i contributi della Galleria Nazionale Ungherese, il Museo Ferenczy di Szentendre, il Museo János Damjanich di Szolnok e l’Istituto di ricerca di Storia dell’arte dell’Accademia Ungherese delle Scienze.

Imre ÁMOS (1907-1944
Nasce a Nagykálló nel 1907, nella provincia di Szabolcs, con il nome di Imre Ungár. Il padre Zsigmond Ungár è un commerciante, la madre è Paula Liszer. Dopo la morte del padre avvenuta nel 1912 si trasferisce insieme alla madre nella casa del nonno paterno, Adolf Liszer, insegnante e talmudista, dove trascorre la sua infanzia. Nel 1925 consegue la maturità nel Liceo reale ungherese di Nagykálló, dopodiché si reca a Budapest e lavora nelle Officine Lang come argentatore e pittore. Tra il 1926-29 studia ingegneria al Politecnico di Budapest. Nel 1929 viene ammesso alla facoltà di Pittura dell’Accademia delle Arti figurative di Budapest. Il suo maestro è Gyula Rudnay. Nel 1930 presso la scuola privata di Béla Kreisl conosce Margit Anna nella quale trova una compagna e un’amica per la vita. Nel 1931-34 partecipa ogni anno al Salone primaverile della Società Színyei. Nel 1934 assume ufficialmente il nome di Ámos. Nel 1935 mette in mostra i suoi dipinti alla CLII. Mostra collettiva del Museo Ernst, il 20 maggio sposa la pittrice Margit Anna. Porta a termine i suoi studi all’Accademia di Arti figurative. In estate si reca in visita per la prima volta a Szentendre. Nel 1936 inaugura una mostra insieme a Margit Anna nel Museo Ernst (CLXI Mostra collettiva del Salone Internazionale). Nel 1937 trascorre tre mesi a Parigi insieme a Margit Anna in occasione dell’Esposizione Mondiale. Mostra i suoi quadri a Marc Chagall che ne parla con apprezzamento. Diviene membro della Nuova Società di Arti Figurative (Képzőművészek Új Társaság, KUT). Nell’estate del 1938 dipinge a Szentendre. Nel 1939 diviene membro dell’Associazione Artistica del Salone Nazionale. Partecipa alla mostra OMIKE. Allestisce insieme a Margit Anna una mostra nel loro atelier. Nel 1940 a causa delle sue origini ebraiche lo mandano al servizio di lavoro obbligatorio. Da settembre a dicembre a Nagykáta, poi a Balatonaliga, dove lavora ai cantieri ferroviari. Nel febbraio del 1941 partecipa alla II Mostra di Arti Figurative dell’Azione d’Arte OMKE. A marzo lo mandano al servizio di lavoro obbligatorio per tre mesi. In estate dipinge a Szentendre. Il 18 marzo del 1942 lo mandano nuovamente al servizio di lavoro obbligatorio. Ad aprile inviano il suo corpo d’armata in Ucraina, al fronte russo. Nel 1943 in Ucraina si ammala di polmonite bilaterale, poi di tifo petecchiale. 14 mesi dopo, a giugno, può finalmente rientrare in patria. Tra marzo ed aprile del 1944 disegna l’Apocalisse, una serie di 12 fogli. Il primo giugno lo portano di nuovo al servizio di lavoro obbligatorio. Prima a Jászberény, poi a Szolnok. A Szolnok disegna in un quaderno a quadretti le sue visioni sconvolgenti. Ad ottobre lo portano a Budapest. Incontra la moglie, Margit Anna, nella caserma di Via Lehel, e le dà il quaderno a quadretti che contiene i suoi ultimi lavori: il Libro dei disegni di Szolnok. A novembre la sua compagnia parte per il fronte austriaco. Non farà più ritorno dal campo di concentramento di Ohrdruf – Nord in Turingia.