I Modi di Giulio Romano e i modi di Carlo Scarpa e Álvaro Siza
La mostra “I Modi” di Giulio Romano e i modi di Carlo Scarpa e Álvaro Siza, a cura di Francesco Dal Co, direttore di Casabella, e allestita in Fondazione Querini Stampalia, mira ad indagare questo aspetto della pratica dell’architettura, il legame tra rappresentazione del corpo ed erotismo.
Comunicato stampa
Il rapporto del corpo con l’architettura e il complesso fenomeno della corporeità hanno sempre occupato una posizione privilegiata nella storia della cultura europea.
Il rimando immediato è alla tradizione classica e a Vitruvio, architetto di Roma antica, inventore dell’accostamento che incontra larga fortuna nella Storia dell’Arte. Nel De Architectura egli paragona il corpo umano a una costruzione e trae da questa analogia una serie di affermazioni che nel tempo hanno facilitato la comprensione di termini come proporzione, simmetria e armonia.
All’interno del pensiero vitruviano molti grandi architetti, soprattutto quelli maggiormente dotati nell’arte del disegno, hanno sperimentato il momento in cui il piacere di rappresentare l’anatomia umana assume una valenza erotica.
Il disegno, il primo manifestarsi del processo che attribuisce una forma alla materia, può implicare l’instaurarsi di un rapporto sensuale tra la mano dell’architetto, il supporto grafico e gli strumenti impiegati.
La mostra “I Modi” di Giulio Romano e i modi di Carlo Scarpa e Álvaro Siza, a cura di Francesco Dal Co, direttore di Casabella, e allestita in Fondazione Querini Stampalia dall’11 marzo al 15 maggio 2016, mira ad indagare questo aspetto della pratica dell’architettura, il legame tra rappresentazione del corpo ed erotismo.
Tale analisi è condotta a partire dall’esposizione di una vasta serie di disegni mai usciti dai quaderni di appunti privati e dagli studi di due dei massimi architetti del Novecento, Carlo Scarpa (1906-1978) e Álvaro Siza (n. 1933).
I disegni inediti di questi due maestri dell’architettura contemporanea esposti in mostra saranno circa 100.
A dimostrazione che quanto si deduce dai disegni e schizzi di Scarpa e Siza non è il frutto di una pratica o di atteggiamenti contingenti in mostra trovano posto le riproduzioni de “I Modi” di Giulio Romano (1499-1546).
Giulio Romano fu il principale collaboratore di Raffaello e l’autore di opere decisive del Rinascimento italiano, tra le quali Palazzo Te a Mantova (1525-1534 ca.), dove realizzò anche uno straordinario ciclo di affreschi (in alcuni casi di soggetto erotico) e decorazioni.
Nel 1524 Marcantonio Raimondi (1480 ca.-1534), il più importante incisore italiano del Rinascimento, ricavò da sedici disegni lascivi di Giulio Romano la serie delle incisioni note come I Modi (De omnibus Veneris Schematibus).
I Modi, che raffigurano sedici posizioni erotiche, sono stati variamente ripresi (Carracci e Procaccini, tra gli altri) e poi pubblicati come illustrazioni di altrettanti sonetti licenziosi composti da un altro dei massimi esponenti del Rinascimento, Pietro Aretino (1492-1556).
Nella mostra organizzata in Fondazione Querini Stampalia è curioso osservare il volume che riproduce i sonetti dell’Aretino accanto alle incisioni di Raimondi, con sovrapposti i disegni che imitano quelli di Giulio Romano tracciati da Siza.
L’equilibrio compatto, impassibile del modulo vitruviano in Siza si fa abbraccio libero nello spazio, movimento liquido, danza sinuosa di passione.
In Scarpa le figure, nudi femminili soprattutto, occupano con tutta la loro terragna corporeità le carte dei progetti e dicono la seduzione irresistibile del dettaglio meticoloso e incontentabile, della sua bellezza ostinata.
Modi della creatività, come forme dell’Eros: divagazione dell’ingegno, corteggiamento amoroso, atto generativo.
Così Francesco Dal Co: “La nostalgia occupa il centro dell’opera di Carlo Scarpa, la modella.
Il suono di fondo che in essa si ripete è quello della tradizione. Nostalgia per un rapporto intimo con il mondo, che egli avverte definitivamente compromesso, invece, è quella che si coglie nelle opere di Álvaro Siza – due ‘modi’, questi, nei disegni quasi inconciliabili, non vi fossero i movimenti delle mani a stabilire la loro costitutiva affinità. Questa affinità è resa evidente dal fine che i disegni dei due architetti condividono: dimostrare e provare che nulla può sostituire l’ampliarsi del potere che il delineare garantisce all’osservare.”