Da Poussin agli Impressionisti
Una straordinaria selezione di oltre 70 opere dalle collezioni del prestigioso Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo per una mostra che illustra la storia della pittura francese dal 1600 alla fine dell’Ottocento:
dall’avvento delle accademie fino alla nuova libertà della pittura en plein air proposta dagli impressionisti.
Comunicato stampa
Palazzo Madama di Torino presenta dal’11 marzo al 4 luglio “Da Poussin agli Impressionisti. Tre secoli di pittura francese”,
una grande mostra che getta uno sguardo sulla storia dell’arte francese come da tempo non succedeva in Italia. Capolavori straordinari che rispecchiano l’evolversi del gusto
artistico in Russia e la passione per l’arte francese, e nel contempo testimoniano l’amore per l’Italia di molti dei pittori in mostra.
La mostra intreccia tutti i grandi temi della pittura moderna - dai soggetti sacri a quelli mitologici, dalla natura morta al ritratto, dal paesaggio alla scena di genere - e delinea la storia della fortuna dell’arte francese in Russia: le ragioni storiche e culturali del successo di alcuni generi accademici, rispetto all’impegno sociale delle correnti realiste; il gusto raffinato di Caterina II che nel 1772 si aggiudicò gran parte dei dipinti raccolti a Parigi dal celebre amateur francese Pierre Crozat negli anni a cavallo tra il Sei e il Settecento;
gli acquisti alla moda dei ricchi aristocratici russi nell’Ottocento, le riorganizzazioni dei musei nel Novecento in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre.
Il percorso in mostra, articolato in 12 sezioni per un totale di circa 50 artisti dei quali vengono esposti alcuni dei più noti ed emblematici lavori,
si apre con le influenze caravaggesche di Simon Vouet, prosegue attraverso il destino dei grandi maestri del classicismo, da Philippe de Champaigne ai sommi
Poussin e Lorrain; attraversa la nuova libertà della pittura di Watteau, Boucher e Fragonard, per approdare al ritorno all'antico di Greuze e alla poesia venata di Romanticismo di
Vernet e Hubert Robert; il neoclassicismo di Ingres si intreccia al nuovo sentimento del paesaggio che si affaccia con
Corot e all’affermazione dell'Impressionismo con Renoir, Sisley, Monet, Pissarro, fino all’apertura verso le avanguardie moderne con Cézanne e Matisse.
Dopo “Porcellane Imperiali. Dalle collezioni dell’Ermitage” e “Il Collezionista di Meraviglie. L’Ermitage di Basilewsky”,
questa nuova mostra, che Palazzo Madama presenta nella cornice unica di Sala del Senato,
costituisce la terza tappa della collaborazione da tempo avviata da Città di Torino e Fondazione Torino Musei con il Museo Statale Ermitage
e con Ermitage Italia per attività di studio e ricerca e per progetti culturali.
Le 75 opere in mostra, giunte a Torino dal museo russo, la cui collezione di pittura francese conta oltre duemila dipinti,
la più vasta raccolta al di fuori della Francia, sono state selezionate dai curatori Clelia Arnaldi di Balme, Natalia Demina, Enrica Pagella con l’organizzazione generale
della Fondazione Torino Musei e la collaborazione di Villaggio Globale International.
Ad accompagnare le opere in mostra, Artune, l’innovativo progetto di storytelling musicale per l’arte, ideato da Frankie hi-nrg mc e Materie Prime Circolari.
Un viaggio attraverso le opere con lamusica e i commenti audio di 10 grandi artisti italiani, tra cui – oltre a Frankie hi-nrg mc –
Elisa, Paola Turci, Andrea Mirò, Simone Cristicchi, Dario Vergassola, Giuliano Sangiorgi.
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Il catalogo della mostra è edito da Skira Editore e raccoglie scritti di Clelia Arnaldi di Balme, Natalia Demina, Aleksandr Babin,
Ekaterina Derjabine, Albert Kostenevič e Natalia Serebryannaya.
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LA MOSTRA
Il Seicento: tra nostalgia del mondo antico e pittura della realtà
Il Seicento e la mostra si aprono all’insegna del classicismo con l’opera di Simon Vouet, pittore versatile e di notevole fama, fondamentale per lo sviluppo della grande decorazione pittorica. Durante la sua permanenza a Roma dal 1614 al 1627, Vouet si accosta al caravaggismo, elaborandone presto una versione personale basata sulla
ricchezza dell’armonia cromatica e sulla potenza lirica della luce ricollegandosi agli esempi della scuola di Fontainebleau e soprattutto ai grandi maestri veneti del Cinquecento,
come mostra la sua notevole Madonna con bambino esposta nell’occasione. L’Italia nel XVII secolo è del resto il vero riferimento per la pittura d’oltralpe.
Anche per Nicolas Poussin e Claude Lorrain il lungo soggiorno romano sarà fondamentale nell’indirizzare il destino della pittura francese verso il classicismo più puro,
con una visione legata alla nostalgia del mondo antico e all’osservazione della natura. Il vertice del filone classicista viene raggiunto a Parigi con Philippe de
Champaigne, originario del Brabante, Laurent de la Hyre e Eustache Le Sueur. A differenza di Vouet e Poussin, nessuno dei tre intraprende il viaggio in Italia. Insieme rappresentano la cosiddetta “prima scuola di Parigi” sviluppatasi sotto la reggenza di Anna d’Austria, e con il giovane Le Brun sono tra i promotori nel 1648
della fondazione dell’Académie Royale de Peinture et Sculpture posta direttamente sotto l’autorità di Luigi XIV.
I principi della celebrazione dinastica e del classicismo imposti dall’Accademia trionfano su tutti i rami delle arti decorative,
fino alla morte di Le Brun (1690) quando gli artisti avviano una reazione all’accademismo ufficiale con l’abbandono della linea dominante e l’apertura all’uso del colore di Rubens.
L’ispirazione corre ora più spontanea e dà vita a scene movimentate che anticipano il Settecento. Le famiglie dei Coypel, Charles De La Fosse e Jean-
Baptiste Nattier mettono in scena storie sacre e mitologie dense di colore e di movimento mentre dalle nature morte trapela già uno spirito rococò.
Il Settecento: dalla grazia del rococò al rigore neoclassico
Chiusa l’età di Luigi XIV, la corte abbandona Versailles per trovare una sede più stabile a Parigi. La città cresce, raffinata e meno austera, coinvolgendo il gusto borghese e stimolando produzioni meno auliche come la pittura di genere. I Salons favoriscono il rapporto tra gli artisti e il pubblico; Watteau si impone con le sue scene galanti (il
dipinto in mostra Proposta imbarazzante, già nella collezione del conte von Brühl, ne è un esempio di assoluta qualità) mentre Fragonard seduce per il suo pittoricismo brioso e vivace.
La marchesa di Pompadour, favorita del re Luigi XV, è accesa sostenitrice dell’Illuminismo e donna di grande influenza sulle arti, sul teatro e sulla musica. I suoi protetti, François Lemoyne, Charles-Joseph Natoire, Charles-André Van Loo, riportano in auge la grandiosità della scenografia barocca, riletta in chiave settecentesca.
Di quest’ultimo significativa la presenza in mostra tre le altre opere de Il riposo di Diana, bozzetto per la decorazione del soffitto della camera da letto della regina di Sardegna nella Palazzina di caccia di Stupinigi in Piemonte, costruita per Vittorio Amedeo II, re di Sardegna. All’allestimento decorativo della palazzina lavorò il
pittore Giuseppe Valeriani, che aveva invitato come assistente Van Loo in quegli anni in Italia.
Allievo di Lemoyne, formatosi sullo studio di Correggio e del barocco italiano, François Boucher viene accolto nel 1734 all’Accademia e raggiunge presto un grande successo a corte e presso l’aristocrazia parigina. Grazie alla protezione dell’attivissima Pompadour conferma il suo prestigio e ottiene nel 1765 la direzione dell’arazzeria di
Beauvais, la carica di “primo pittore del re” e la direzione della manifattura dei Gobelins. Interprete più acuto del gusto rococò francese, di Boucher sono tre le opere in mostra,
con un ovale con Scena pastorale che è un autentico capolavoro.
Il ritratto trionfa brillante e convenzionale con il figlio di Jean-Baptiste Van Loo, Louis-Michel Van Loo, con Jean-Marc Nattier e con Louis Tocqué,
abili illustratori di una società in bilico tra la leggerezza del Settecento e l’inquietudine moderna.
Di grande bellezza e importanza, i ritratti di Sir Robet Walpole e di Luigi XIV esposti ora a Palazzo Madama.
Louis-Michel Van Loo al tempo di Caterina II era diventato famoso anche in Russia e il quadro con il Sestetto, anch’esso in mostra a Torino,
gli fu commissionato dall’imperatrice con la mediazione del principe Dmitrij A. Golicyn, conoscitore ed estimatore dell’artista.
Sui fogli degli spartiti che appaiono nel dipinto sono ricordati i nomi di due compositori che godettero di grande fama a Pietroburgo: Baldassare Galuppi (1706-1785, direttore della cappella di San Marco e del conservatorio trasferitosi in Russia su invito di Caterina II, ove istruì l’orchestra di corte) e Niccolò Piccinni (1728-1800).
Il paesaggio acquista nuova importanza grazie all’opera di Claude Joseph Vernet, che frequenta l’Académie de France a Roma guadagnandosi il favore di committenti importanti come il duca di Saint-Aignan, ambasciatore di Francia presso la Santa Sede. Le sue opere vengono acquistate dai viaggiatori del Grand Tour, soprattutto britannici, molto apprezzate per l’attenzione agli aspetti topografici e pittoreschi dei luoghi, per l’atmosfera tersa e l’ordine della composizione. Al suo ritorno a Parigi, l’ingresso all’Accademia lo consacra pittore di marine.
L’età moderna però si annuncia con Jean-Siméon Chardin (1699 – 1779) e dunque con l’immagine autentica degli aspetti quotidiani della realtà, ispirata ai modelli della grande pittura olandese del Seicento e di quella francese dei fratelli Le Nain. Le composizioni di oggetti e le scene d’interni con figure e ritratti sono nobilitate dal rigore
compositivo e dalla tecnica pittorica raffinatissima, che valgono all’artista il favore di Luigi XV e un’importante clientela europea.
Nel 1740 Chardin offre a Luigi XV Il Benedicite – opera che sarà possibile ammirare in mostra - consacrando il valore della quotidianità della scena domestica
con una poesia che colpisce generazioni di amatori per il rigore compositivo e la tecnica pittorica raffinatissima.
Sulla sua scia, Greuze si dedica a una pittura di genere domestico e borghese con toni moraleggianti e sentimentali che vengono apprezzati anche da grandi intellettuali come Denis Diderot.
A una nuova svolta di gusto si assiste verso la metà del secolo, dettata dalle scoperte archeologiche di Ercolano e da un rinnovato interesse per il mondo antico
con il suo rigore e la sua semplicità, contrapposte alle leggerezze della rocaille. La tradizione rococò viene abbandonata per far spazio alla ricerca della purezza e dei valori del
mondo classico. I paesaggi di Vernet, i ritratti di Elisabeth Vigée Le Brun e di Ingres richiamano nella forma e nei contenuti i modelli ideali dell’antica Grecia e dell’impero romano.
L’Ottocento: il trionfo del sentimento romantico e la pittura di luce degli impressionisti. Alle soglie delle moderne avanguardie.
Siamo ormai alle soglie del XIX secolo e all’avvento del Neoclassicismo. La Rivoluzione francese ha avuto profonde conseguenze sulla vita degli artisti e sulle loro condizioni economiche. Nel 1793 viene soppressa l’Académie e le sue funzioni vengono ripartite, due anni dopo, tra l’Ecole des Beaux-Arts e l’Institut de France. Lo
stesso anno vengono aperte al pubblico le collezioni del Louvre. Anche i dirigenti rivoluzionari sono ben consapevoli dell’utilità dell’arte ai fini propagandistici, e così Napoleone
Bonaparte per il suo impero. La pittura di storia vive alcuni momenti positivi con gli artisti nati verso la metà del Settecento come Jean-Baptiste Regnault e
lo stesso Jean Auguste Dominique Ingres che raccoglie l’eredità di David.
Eccezionale il prestito alla mostra del Ritratto del conte Nikolai Guryev, capolavoro realizzato da Ingres nel 1821.
A partire dagli Trenta dell’Ottocento una nuova sensibilità verso i sentimenti, verso la forza creatrice della natura e il valore dell’animo umano,
portano ad una concezione mistica delle arti in cui la pittura esprime l’interiorità delle cose attraverso simboli e immagini dotate di forte espressività. Alla corrente romantica si rifanno pittori di alti contenuti morali, orientalisti, realisti, legati ai movimenti politici del 1848, con interessi che spaziano dalla natura alla storia, dal ritratto ai temi sacri,
nel comune intento di suscitare emozioni, in contrapposizione con l’arte definita pompier, di stampo accademico e contenuti moraleggianti.
Tra questi, emerge Eugène Delacroix (in mostra Arabo che sella il suo cavallo, 1855 realizzato mentre era in missione diplomatica presso il sultano) pittore di storia formatosi sulle opere di Raffaello, Tiziano, Veronese e Rubens del Louvre e sulla cultura letteraria e figurativa inglese, conosciuta durante un soggiorno a Londra.
Un naturalismo libero dagli schemi del paesaggio storico e dai sentimentalismi della scena di genere è quello sviluppato da Jean-Baptiste-Camille Corot, mentre negli stessi anni, intorno al quarto decennio del secolo, un gruppo di artisti cerca invece una visione nuova della natura e dipinge nella foresta di Fontainbleau, nella località detta Barbizon, ponendosi direttamente davanti al paesaggio e trasferendo sulla tela il proprio sentimento di semplicità e smarrimento rispetto alla natura. Le loro vedute si rifanno alla tradizione del paesaggio olandese e alle
recenti esperienze inglesi, in una singolare naturalità di visione che offrirà spunti decisivi all’impressionismo.
Gli artisti impressionisti che si formano intorno al 1860 sulla base delle esperienze del naturalismo, uniti dalle comuni ricerche sulla natura e dall’antiaccademismo, scatenano un acceso dibattito sulle arti e innescano una vera e propria rivoluzione nell’impegno per la pittura dal vero, basata sull’impressione individuale di fronte al soggetto,
sullo studio del colore e sugli effetti della luce. E’ la nascita dell’Impressionismo.
Renoir, Sisley, Monet, Pisarro – ognuno sviluppando le loro singolari personalità - e poi Cézanne, Gauguin e Matisse
(tutti presenti in mostra con assoluti capolavori come la Testa di donna di Renoir del 1876 e il Covone di fieno a Giverny realizzato da Claude Monet nel 1886
e ancora il Paesaggio con capre di Gauguin) pongono le basi per le avanguardie che seguono e segnano l’inizio dell’arte moderna.
Il percorso della mostra si chiude con una spettacolare Natura morta con tenda di Cézanne,
che prende le distanze dall’impressionismo, e con due nature morte di Henri Matisse realizzate dopo il viaggio in Bretagna del 1895–1897:
risentono ancora dell’influenza impressionista, ma anticipano quell’attenzione al colore puro come elemento fondante dell’opera, non più
strumento di resa della verità della luce e dell’atmosfera, che darà origine alla corrente fauve e, con il suo incanto decorativo, avvierà un corso nuovo della pittura.