Penelope Chiara Cocchi – Avatar
Il titolo della mostra, AVATAR, è stato scelto dall’artista perché si riconduce all’idea secondo cui Il nostro corpo sia una sorta di “mappa” in cui si riflette l’intero universo: le leggi matematiche, fisiche e biologiche sono in esso presenti come in tutto il creato.
Comunicato stampa
Venerdì 15 aprile 2016 alle ore 19.00 si terrà l’inaugurazione di AVATAR mostra personale di Penelope Chiara Cocchi, a cura di Olivia Spatola, presso il Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna.
Penelope, dopo avere sviluppato il tema del ricordo e della memoria nei luoghi dimenticati, esplora ora lo stretto rapporto tra musica e arte visiva.
Il titolo della mostra, AVATAR, è stato scelto dall’artista perché si riconduce all’idea secondo cui Il nostro corpo sia una sorta di “mappa” in cui si riflette l’intero universo: le leggi matematiche, fisiche e biologiche sono in esso presenti come in tutto il creato. Penelope, partendo dal concetto per cui “siamo polvere di stelle”, elabora una visione olistica e totalizzante, identificando le nostre connessioni neuronali alle radici degli alberi, mostrando le analogie fra le forme micro e macro cosmiche, trovando le similitudini fra i suoni dell’universo e le primordiali forme di musica.
L’artista, dunque, attraverso un attento studio delle origini della musica, si pone l’ambizioso obiettivo di dare forma alle sue primigenie manifestazioni partendo dalla considerazione che, prima di diventare cultura intesa come scienza codificata, la musica era un insieme di suoni liberi, una primordiale forma di jazz del tutto svincolata da schemi o regole.
“La musica delle sfere celesti” - installazione progettata e realizzata da Penelope per il Museo della Musica di Bologna - ipotizza la rappresentazione di una vagheggiata armonia cosmica, regolata dalla perfezione aurea del numero d’oro: il tutto si tiene nell’uno e l’uno riverbera sé stesso nella vastità e l’uomo tenta, da sempre, di sfiorarne l’essenza (“…sono immenso, contengo moltitudini...” s criveva Whitman).
La teoria “Armonia delle sfere”, elaborata per la prima volta intorno al V secolo a. C. dalla scuola pitagorica, fu ripresa da Platone nel “Mito di Er”, contenuto nel decimo libro della “Repubblica”.
Giovanni Keplero - nell’opera Harmonices Mundi - mise in luce i rapporti fra percezioni ottiche, forme geometriche, musica e armonie planetarie. Secondo Keplero, il punto d'incontro fra geometria, cosmologia, astrologia e musica viene rappresentato dalla musica delle sfere. L’installazione dell’artista potrebbe dunque identificarsi come una sorta di “tassonomia del movimento”, un ritmo universale costituente la sostanza delle cose e capace di rivelare la segreta anima del mondo.
Per i Greci la musica era in stretta connessione con l’astronomia, non soltanto a causa dell’identità delle leggi matematiche - ritenute alla base degli intervalli musicali tanto quanto del sistema dei corpi celesti - ma anche in ragione di una particolare corrispondenza di certi suoni con i vari pianeti, a ciascuno dei quali la cosmologia attribuiva un suono differente. Gli insegnamenti pitagorici indicano il sistema di suoni e ritmi come regolato da rapporti numerici, identificato - alfine - in un’esemplificata visualizzazione dell’armonia cosmica.
Nel confronto e nell’analogica reiterazione di forme cosmiche e microcosmiche si riscontra una sorta di continuità tra immanenza naturale - primigenia - e successiva sistematizzazione temporale di un decorso musicale scientifico e cosciente. L’uomo prende coscienza della musica universale e la modella vezzeggiandola, trasformandola in arte consapevole, nell’imprevedibilità controllata della scrittura armonica.
Nel libro d’artista (esemplare unico), riprodotto e pubblicato da Historica Edizioni, - nonché nei dischi in vinile – entrambi realizzati per questa mostra, Penelope mette a confronto immagini di galassie ed altre di neuroscienza in cui le sinapsi cerebrali sembrano irradiare energia cosmica.
Troviamo, inoltre, l’immagine della chiocciola abbinata a vortici galattici per ricordarci che nella relazione tra cosmo e microcosmo tutto è vivo, ma anche del principio matematico della sezione aurea che detta le proporzioni nelle varie scale di grandezza.
La geometria sacra delle prime scuole misteriche, come quella Egizia, è unitaria, complessiva e unisce ciò che è grande con ciò che è piccolo. Tale concezione è ben rappresentata nella seconda sala del museo dove risiedono le pietre spaccate e dipinte. In queste opere cosmo e microcosmo si sovrappongono in base alle forme, alle proporzioni ed ai colori delle immagini rappresentate.
Nelle sale interne del museo, sarà esposta un’installazione di sfere trasparenti a differenti scale di grandezza contenute una nell’altra. Mentre quelle esterne rappresentano le sfere celesti intoccabili, di cui l'uomo non è partecipe, le sfere minori raffigurano la “musica delle sfere” e simboleggiano la creazione umana. Creazione umana è anche la Stratocaster, celebre chitarra progettata da Leo Fender, sulla quale l’artista, oltre a dipingere la nostra galassia, la Via Lattea, ha sostituito le corde con stringhe contenenti la più celebre citazione di Carl Sagan, e ha applicato piccole sfere di vetro al posto delle manopole del volume e del tono.
A supporto e completamento dell’installazione, Penelope realizza uno speciale libro d’artista che reifica e oggettivizza tale confronto tra istanza mitologica - archetipica - e successive trasformazioni: immagini, citazioni filosofiche e letterarie e riflessioni individuali si mescolano all’interno di un personalissimo coté artistico, una sorta di pandette in cui - di volta in volta - riconoscere lacerti di passato, ipotizzare prolegomeni di futuro.