Paladino
Solo gli uomini del sud come Paladino sentono la lentezza dei pomeriggi estivi, la sospensione del tempo e il brusio dei pensieri che vanno e che vengono, destinati a sparire come desideri imperfetti, graffi, macchie, sbavature di una vita solo immaginata.
Comunicato stampa
l'ombra e la luce. c'è la crocifissione di masaccio, la tavola con la foglia d'oro sulla quale scorre la tempera del pittore, ci sono i vicoli bui, i muri scrostati, le persiane semichiuse che lasciano filtrare solo lame e frammenti di sole. la napoli di un artista che sa di pittura è capodimonte con il suo tesoro di immagini sedimentate nei secoli, ma anche il labirinto di architetture sopravvissute alle offese del tempo, diventate natura quasi per eccesso di storia. paladino dipinge il bianco e il nero delle grandi tele in modo che luce e ombra facciano la loro danza spontanea, lasciando che in superficie tracce più scure, quasi corpose, e impronte che sfumano in niente si muovano insieme, forse in equilibrio ma senza un accordo preciso. l'ombra napoletana non è mai tenebra e abisso. il carattere ombroso di queste tele grigie è quello meridiano, della mezza luce del sole calante, dei gesti lenti, umili e quotidiani, di pareti scottate dal gran caldo d'estate, della penombra che non è mai notte, quando il silenzio è riposo ancora vigile o qualche volta deliquio, ma senza sonno nè sogni. solo gli uomini del sud come paladino sentono la lentezza dei pomeriggi estivi, la sospensione del tempo e il brusio dei pensieri che vanno e che vengono, destinati a sparire come desideri imperfetti, graffi, macchie, sbavature di una vita solo immaginata. forse qualcosa di simile conosce l'antica cultura giapponese con la sua cerimonia dell'inchiostro e dei pennelli da cui scaturisce la pittura zen. sulla carta dei monaci l'inchiostro fluisce senza intenzione: una sequenza di gesti nella sospensione di un risveglio prolungato, che non è veglia e non è sonno, non è la forma ma non è l'informe. anche sulla tela di paladino che qui lavora per variazioni casuali la figurazione centrale è sospesa, come assediata dai molti dettagli che la insidiano. se c'è un centro figurativo, questo è racchiuso in un dentro che è accerchiato: e da quel dentro si scavano e s'intagliano fino ad imprimersi o a trasparire altre figure che si ripetono a dismisura, come l'eco di un suono nel vuoto, sempre più lontano, remoto nel tempo e nello spazio. quando invece la luce si afferma e risplende nel modo più puro, quando cioè il sole è allo zenit e ogni ombra soccombe, la pittura è come accecata dall'infinito di possibilità che le si aprono. la luce piena è chiarezza, lucidità, fuoco, narrazione vera. eppure, per paradosso, ciò che è troppo luminoso abbaglia e può anche accecare. più dell'ombra, la luce spesso inganna e nasconde. come l'oro delle sue icone, l'arte per paladino è uno specchio senza fondo da cui emergono fluttuando frammenti di visioni. e' l'altra esperienza del vuoto. tutto accade in superficie. non c'è un retroscena di veli e di ombre, non c'è l'oscura profondità, non c'è più la prospettiva di masaccio. la pittura, come la vita, è un processo di approssimazione a ciò che a nessuno è dato vedere. la crocifissione non è un racconto a colori, ma un'architettura umana troppo umana che si regge per un tempo non si sa quanto breve in equilibrio precario sul bianco di una parete spoglia di orpelli.