Gabriele De Santis – Caro Stefano
“Caro Stefano,” è il titolo della prima personale a Bergamo dell’artista romano Gabriele De Santis (1983). Ed è proprio come si inizia una lettera indirizzata ad un caro amico che l’artista decide di raccontare e rileggere, negli spazi di /viamoronisedici/spazioarte, l’idea di torre.
Comunicato stampa
La mostra, realizzata in collaborazione con The Blank, è inserita nell’ambito di “The Blank ArtDate 2016 - La città dei destini incrociati”.
La sesta edizione delle tre giornate dedicate all’Arte Contemporanea (13-14-15 maggio 2016) è ispirata a “Il castello dei destini incrociati”, il celebre romanzo fantastico di Italo Calvino, e alle riproduzioni delle carte dei Tarocchi che ne accompagnano la lettura. I Tarocchi quattrocenteschi diventeranno infatti, il fulcro immaginario e visuale da cui gli artisti e tutte le realtà coinvolte dovranno trarre ispirazione per dar vita a esperienze estetiche contemporanee.
La carta associata a /viamoronisedici/spazioarte è “la torre”.
«Where’s the tower that’s gonna be my home?
The tower that someone’s fighting over?
A tower that someone’s paying for?
A tower so old just let it go».
“Caro Stefano,” è il titolo della prima personale a Bergamo dell’artista romano Gabriele De Santis (1983). Ed è proprio come si inizia una lettera indirizzata ad un caro amico che l’artista decide di raccontare e rileggere, negli spazi di /viamoronisedici/spazioarte, l’idea di torre.
Gabriele De Santis gioca con l’idea di familiarità: toglie gli oggetti dai luoghi in cui siamo abituati a vederli, li esalta ad icone, li priva della propria tensione e li rende quindi instabili. L’artista riesce, in questo modo, a creare un vero e proprio cortocircuito attorno all’immaginario di un oggetto e invita lo spettatore a partecipare alla ricostruzione dello stesso.
La stabilità, “le radici” e l’immobilità nel tempo degli oggetti vengono messe in discussione: se la storia è un’idea del futuro che tiene conto del passato, le opere dell’artista romano sono in grado di interrompere, proprio come una cerniera, il discorso presente per richiamare il passato ed inserirlo come un frammento che risulterà di nuovo efficace grazie all’impatto che questo produrrà in un nuovo immaginario.
Smuovere il passato e il presente, far muovere i simboli di una cultura, significa rendere evidente che la storia è un processo che ha bisogno di accogliere le possibilità infinite che anche un piccolo movimento può provocare; significa aprirsi a nuove spazialità fisiche e mentali e lasciare all’esperienza personale un ruolo fondamentale riempiendo i vuoti di nuovo significato. L'arte è quindi il luogo in cui le urgenze esplodono, il senso svanisce di continuo ma continuamente trova nuove forme per rinnovarsi e creare nuovi linguaggi per comunicarsi.
Sembra allora essere proprio questo l’invito di Gabriele De Santis: impegnarci a “portarsi dietro” il passato e abituarlo alle acrobazie, anche quelle più complesse, del presente; non ancorarlo in un tempo immobile ma aiutarlo a vivere nell’hic et nunc benjaminiano. Contemporaneo infatti, come scrive Jean-Christophe Bailly nel libro a cura di Federico Ferrari, “Del contemporaneo. Saggi su arte e tempo.”, non è solo «ciò che è depositato nel tempo contemporaneamente a noi, ma anche ciò che nel depositarsi, è sufficientemente bizzarro da creare una fenditura, attraverso cui vedere o intravedere la forma percettibile di un'epoca».
Alexandra Russi