Silvia Bordini – Io e mio fratello non siamo fotografi
Carlo Gallerati è lieto di presentare “Io e mio fratello non siamo fotografi”, una mostra personale di Silvia Bordini a cura di Chiara Capodici
Comunicato stampa
Carlo Gallerati è lieto di presentare "Io e mio fratello non siamo fotografi", una mostra personale di Silvia Bordini a cura di Chiara Capodici
Da gennaio 2016, Silvia Bordini ha fotografato una serie di persone, chiedendo loro di coprirsi gli occhi con le mani, e piano piano, come dice lei, ne è venuta fuori una serie, cioè "una sequenza d'immagini ordinate secondo criteri di somiglianza / assonanza / senso simbolico".
I ritratti hanno a che fare con una tensione latente fra due poli: da un lato chi è dietro l'obiettivo, dall'altro chi è davanti.
Ma cosa succede se chi fotografa chiede al suo soggetto di chiudere gli occhi?
Ho letto da qualche parte una cosa apparentemente banale: ‘Gli occhi sono le nostre finestre sul mondo: quello esterno quando sono aperti, quello più intimo interno quando sono chiusi’
A detta di Silvia, lei chiede "(ma involontariamente o quasi) una specie di recita minima ... e così viene fuori una specie di performance spontanea", come un rituale sintetizzato nel raggruppare questi ritratti per pugni chiusi, aperti, gomiti che spingono, occhi che fanno capolino.
Con gesti dove l'ironia si sovrappone alla strategia del dislocamento, in questa serie di ritratti Silvia segue una linea sottile di metalinguaggio a partire dal titolo della mostra: "Io e mio fratello non siamo fotografi", come dire, la fotografia, l'oggetto fotografico non è qui il punto in questione. Il suo è un invito a ricondurre l'attenzione al discorso fotografico, che, nel momento in cui diventa dialogo, esperimento relazionale, a sorpresa ci fa chiudere gli occhi e ritrovare le fila di un discorso interiore.
C'è una tensione, nei lavori fotografici di Silvia, che da un lato apre l'orizzonte di tutto il bagaglio culturale che ne è la premessa implicita, -a partire dal titolo che è un prelievo dalla presentazione di Anton Giulio Bragaglia del Fotodinamismo futurista - e dall'altro è fatto di curiosità, semplici gesti, delicata attenzione all'ambiente, dal non avere nessuna pretesa e insieme, in potenza, toccare molti temi che pretendono tanto da chi li affronta.
C'è qui un esperimento in corso e se si entra nel gioco, se -come i bambini- si gioca seriamente, quegli occhi chiusi di fronte a una macchina fotografica e a una fotografa che si sottrae dall’esibizione della qualità tecnica, questa tensione, leggera e teatrale, si allarga fino a quella circolazione di senso continua cui fa riferimento Giulio Paolini nel quadro Giovane che guarda Lorenzo Lotto, ricostruzione nello spazio e nel tempo del punto occupato dall’autore (1506) e (ora) dall’osservatore di questo quadro” (1967). In un testo sul rapporto fra arte e fotografia, Silvia dedica all'artista alcuni paragrafi: in una sua Intervista, Paolini scrive che "fotografia e disegno sembrano possedere in comune, condividere l’attitudine – che vorrei chiamare vocazione – a far trasparire: la trasparenza non ha fine, tende all’infinito, non fa ‘immagine’, ma fa ‘immaginare’, vedere sempre al di là del limite contingente”.
Con il suo gioco apparentemente disimpegnato, Silvia, chiedendoci di chiuderli, ci aiuta ad aprire gli occhi alla nostra personale vocazione, che come il disegno, come la fotografia, può tendere all'infinito, e andare oltre l'immagine verso l'immaginazione, sempre al di là del limite del contingente.
Chiara Capodici
Silvia Bordini vive e lavora a Roma
Ha insegnato Storia dell'arte contemporanea e Storia delle tecniche artistiche all'Università di Roma Sapienza.
Di recente ha ripreso a fare fotografie, rinnovando un’antica passione.