Paola Di Bello – Homeless’ home
La mostra al MLAC, organizzata in collaborazione con la Galleria Frittelli Arte Contemporanea di Firenze, propone una selezione di opere appartenenti alle serie Concrete Island e Rischiano pene molto severe, realizzate da Paola Di Bello tra la seconda metà degli anni Novanta e il 2001.
Comunicato stampa
La mostra al MLAC, organizzata in collaborazione con la Galleria Frittelli Arte Contemporanea di Firenze, propone una selezione di opere appartenenti alle serie Concrete Island e Rischiano pene molto severe, realizzate da Paola Di Bello tra la seconda metà degli anni Novanta e il 2001. In entrambe l’artista sceglie un’angolazione inconsueta nel fotografare oggetti e persone. Di Bello ruota l’obiettivo di 90 gradi e i soggetti passano dalla posizione orizzontale a quella verticale, generando un cambiamento nella percezione della realtà. In Concrete Island (1996/2001), in particolare, l’artista fotografa a grandezza naturale oggetti di scarto – sedie, tavoli, divani, lavandini ecc. –, che giacciono abbandonati sull’erba o sul ciglio della strada; attraverso la rotazione, gli oggetti tornano ad assumere la posizione che avevano prima di essere buttati via. Di Bello ricorre a una soluzione analoga anche nella serie Rischiano pene molto severe (1998/2001), in cui l’artista ritrae, per diversi mesi, le persone senza fissa dimora che dormono nelle stazioni ferroviarie e metropolitane di Milano: attraverso il cambio di angolazione e la stampa di grande formato (in scala 1:1) i soggetti assumono un aspetto monumentale. Nelle foto di Paola Di Bello la rotazione ha un duplice significato: da un lato, l’artista getta uno sguardo diverso sulle cose e sul mondo; ruotare l’obiettivo risponde infatti alla scelta di assumere un punto di vista inedito, in cui i confini tra realtà e finzione si fanno labili. Nel contempo, ruotare l’obiettivo per Di Bello è un gesto di cura, con il quale ella si fa carico della vulnerabilità di queste persone. La scelta di ritrarre soggetti marginali esprime, infatti, l’intenzione dell’artista di restituire loro visibilità e corpo. Paola Di Bello porta all’attenzione dell’osservatore immagini che raccontano storie di perdita, di assenza e di alienazione umana. Anche gli oggetti di Concrete Island, in fondo, hanno per tema gli esseri umani e le loro storie: su di essi sono impresse le tracce dell’usura e del trascorrere del tempo; si tratta di immagini melanconiche che evocano il passato e la morte. Di Bello, in queste opere, sembra far sue le riflessioni di Susan Sontag, secondo la quale scattare una fotografia significa partecipare “della mortalità” e “della mutabilità di un’altra persona (o di un’altra cosa)”. Queste foto, tuttavia, più che la nostalgia e il rimpianto, esprimono un desiderio di riscatto: l’urgenza di incidere sulla realtà attraverso un processo di trasformazione dello sguardo.