Tutti dormono
In occasione della 7° edizione di Una Marina di Libri sarà inaugurato un ciclo di due esposizioni dal titolo Tutti dormono.
Comunicato stampa
Tutti dormono
a cura di Virginia Glorioso
Orto Botanico – Gymnasium e Tepidarium
via Lincoln 2 – Palermo
In occasione della 7° edizione di Una Marina di Libri sarà inaugurato un ciclo di due esposizioni dal titolo Tutti dormono.
Entrambe le esposizioni, curate da Virginia Glorioso e ideate da La Roue e da Nicola Aniello Bravo, presenteranno lavori che avranno come riferimento l'Antologia di Spoon River, raccolta di poesie pubblicate nel 1916 dal poeta statunitense Edgar Lee Masters che, in forma di epitaffio, racconta la vita di uomini e donne sepolti nel cimitero di una cittadina del Midwest statunitense.
Attraverso una rilettura contemporanea per immagini di uno dei pilastri della letteratura americana, dunque, ogni opera presente in mostra avrà come protagonista la vita dell'uomo con le sue molteplici e a volte imprevedibili sfaccettature.
Gli artisti coinvolti saranno Jessica Adamo, Dimitri Agnello, Riccardo Brugnone, Marcello Buffa, Stefania Cordone, Simone Geraci, Miriam Iervolino, Luca Mannino, Vincenzo Pisano, Roberto Rinella, Daniele Roccaro, Riccardo Stasi, Simone Stuto, Giuseppe Vassallo, Angela Viola.
INFO
titolo: Tutti dormono
curatrice: Virginia Glorioso
organizzazione: La Roue
collaborazione: L'Altro Arte Contemporanea
testo critico: Marco Valerio Bonazzi
inaugurazione: giovedì 9 giugno 2016, ore 19 : 30
fine mostra: domenica 12 giugno 2016
orari: dalle 10 : 00 alle 24 : 00
dove: Orto Botanico – Gymnasium / Tepidarium
indirizzo: via Lincoln, 2 ( Palermo )
contatti mail: [email protected] / [email protected]
telefono: 347 0580142 / 348 0428392 / 331 1869475
Tutti dormono
di Marco Valerio Bonazzi
Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,
l'abulico, l'atletico, il buffone, l'ubriaco, il rissoso?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Uno consumato dalla febbre,
uno si è bruciato in miniera,
uno fu ucciso in una rissa,
uno morì in prigione,
uno cadde da un ponte lavorando duro per i suoi cari
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dove sono Ella, Kate, Mag, Edith e Lizzie,
il cuore tenero, l'anima semplice, la vociona, l'orgogliosa, la felice?
Tutte, tutte, dormono sulla collina.
Una è morta di un vergognoso parto,
una di un amore contrastato,
una tra le mani di un bruto in un bordello,
una d'orgoglio spezzato, seguendo il desiderio del cuore,
una, dopo una vita nella lontana Londra e Parigi,
fu riportata nel suo piccolo spazio con Ella, con Kate, con Mag
tutte, tutte dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dove sono zio Isaac e la zia Emily,
e il vecchio Towny Kincaid e Sevigne Houghton,
e il maggiore Walker che aveva parlato
con gli uomini venerabili della Rivoluzione?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Portarono i loro figlioli morti dalla guerra,
e figlie la cui vita hanno spezzato,
e i loro bimbi orfani, che piangono,
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.
Dov'è quel vecchio suonatore Jones
che giocò con la vita per tutti i suoi novant'anni,
fronteggiando il nevischio a petto nudo,
bevendo, facendo chiasso, non pensando né a moglie né a parenti,
né al denaro, né all'amore, né al cielo?
Eccolo! Ciancia del pesce fritto degli anni passati,
delle corse dei cavalli di tanti anni fa al Clary's Grove,
di ciò che Abe Lincoln disse
una volta a Springfield.
(La Collina, L'Antologia di Spoon River)
Quali sono le vite degne di memoria? Quali gli esseri umani meritevoli di gloria eterna?
Per secoli, sia la letteratura sia le arti figurative hanno scelto come oggetto delle proprie narrazioni eventi eccezionali, imprese eroiche e personalità emblematiche di valori considerati positivi ed esemplari secondo i canoni riconosciuti dalla nostra civiltà. L'uomo comune, quello impegnato nella sua monotona quotidianità e spesso reso trasparente dalla ripetitività delle sue giornate, è rimasto ai margini per secoli e con lui tutta quella complessità di sentimenti umani che possono essere intercettati solo nelle oscure profondità del mondo dove l'idillio e la rettitudine lasciano, come è normale che sia, il posto all'ipocrisia, alla viltà, al sotterfugio e alla violenza.
La Storia con la s maiuscola, quella che è stata tramandata dagli atti ufficiali, ha oscurato e messo in un cantuccio le storie ordinarie di uomini mediocri, fin quando autori coraggiosi e schietti non si sono ribellati alla retorica del buonismo conformista per dare finalmente voce alle vicende di un popolo di disperati e sconfitti che colti nella dimensione del peccato hanno offerto al pubblico non tanto dei modelli da imitare, quanto piuttosto degli specchi consolatori attraverso cui redimersi dai propri sensi di colpa. E così, con il mutare dei contenuti, hanno cominciato a mutare anche stili e poetiche, nella letteratura quanto nell'arte.
Consapevoli dell'enorme portata che il gesto eversivo di questi precursori ha avuto per l'umanità, abbiamo pensato di omaggiarli con un ciclo di due esposizioni.
Partendo, in particolare, dal centenario della prima pubblicazione completa dell'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master abbiamo voluto coinvolgere artisti che, spirati dalle poesie dell'autore americano, rappresentano nelle proprie opere l'essere umano nel suo difficile ma reale rapporto con la vita e con la morte.
Lee Masters, infatti, nel 1916 mette in scena le vite di un brulicante universo di uomini e donne colti, con velata ironia, nei loro aspetti più abietti e grotteschi. Per farlo utilizza l'artificio di scrivere degli epitaffi in versi incisi sulle lapidi immaginarie di un piccolo e dimenticato cimitero della provincia americana. La morte, nelle sue poesie si fa paradosso e diviene occasione di affermazione per persone che in vita sono state costrette a soccombere. Delinquenti, soldati, commercianti sfortunati, ma anche medici, avvocati o uomini e donne alle prese con la malattia e la sofferenza, diventano nel cimitero il simbolo di un America che calpesta i suoi abitanti silenziosamente, costringendoli alla sottomissione e alla rassegnazione.
Allo stesso modo, gli artisti coinvolti in mostra rappresentano soggetti fragili e subalterni ritratti nella disperazione della morte o nella mortale angoscia di una vita fatta di stenti.
L'uomo comune diviene protagonista. I suoi incubi divengono i nostri e attraverso un gioco di prospettive possiamo riconoscerci nelle sue insicurezze e nelle sue ansie. Possiamo vedere con i suoi occhi, ma soprattutto, possiamo vedere in essi il nostro sguardo di fronte al mistero della vita e della sua fine. Uno sguardo che è a volte profondo e riflessivo altre semplicemente perso nel vuoto.
In un mondo che vede l'uomo piegarsi e talvolta scomparire sotto i fendenti di una società che premia i potenti e abbatte i più deboli, la morte annulla le differenze di classe e ci ricorda che ogni esistenza, pur nella sua banalità, è un microcosmo di sentimenti contrastanti che in continua tensione tra loro ci rendono, pur nei limiti, perfetti proprio perché perfettibili e giornalmente impegnati in un processo di miglioramento.
Le opere diventano lapidi, dunque, e in quanto tali non celebrano il trapasso ma la vita e glorificano, come si legge spesso sulle tombe, gesti quotidiani più che gesta straordinarie.