Stefano Canto – Concrete Archive
La mostra presenterà al pubblico Epoca n°731, 736, un gruppo di opere iniziato nel 2015, e alcuni nuovi lavori del progetto Archeologia dell’Effimero (2016).
Comunicato stampa
La galleria Matèria è lieta di annunciare la personale di Stefano Canto. La mostra, dal titolo Concrete Archive, sarà inaugurata il prossimo 23 giugno e presenterà al pubblico Epoca n°731, 736, un gruppo di opere iniziato nel 2015, e alcuni nuovi lavori del progetto Archeologia dell’Effimero (2016).
Oggigiorno l’importanza delle dimensioni del ‘qui’ e ‘ora’ che hanno marchiato a fuoco la generazione dei Millennials, la sindrome del FOMO (Fear of Missing Out), la diffusione di Snapchat, gli status di Facebook “a cosa stai pensando”, sottolineano un’attenzione spasmodica al presente, necessariamente condiviso, e al raggiungimento di un piacere sempre più concentrato, temporaneo, volatile.
Il titolo della mostra Concrete Archive resiste al carattere effimero del presente e rafforza l’idea di stabilità e durevolezza del nostro passato. L’immagine di un archivio di cemento se da un lato propone una riflessione sulla nozione di archiviazione, documentazione e registrazione delle azioni dell’uomo, dall’altro suggerisce l’interesse di Stefano Canto nell’approccio architettonico. L’elemento del cemento non solo offre una sua lettura figurativa dell’influenza del tempo che trasforma, smussa, fortifica, ma anche letterale. Alla base della formazione di Canto come architetto, vi è uno spiccato interesse nel concetto di mutazione, e nel rapporto tra artificio e natura, soprattutto con riferimento al paesaggio alterato dalla mano dell’uomo. Nella ricerca di Canto lo spazio è percepito come una griglia, un insieme ordinato di forme geometriche, che si compenetrano e stratificano. Il suo approccio è analitico e scompone il paesaggio in piani, setti e componenti. Lo spazio si trasforma perciò in un reticolato tridimensionale composto da blocchi, forme, moduli che incastrandosi restituiscono allo spettatore la visione di un ambiente totale.
Ripensando l’archivio in termini formali e spaziali, Stefano Canto presenta Archeologia dell’Effimero, un gruppo di sculture sperimentato in occasione della residenza artistica di Viafarini a Milano, in cui gli elementi portanti sono l’effetto del tempo e l’interazione tra due materiali afferenti al mondo della natura e della costruzione, il ghiaccio e la polvere di cemento. Il ghiaccio sciogliendosi solca la polvere di cemento e mentre le conferisce consistenza e volume, crea in essa un vuoto, un varco. Tale passaggio, o via di comunicazione tra esterno e interno, consente alla massa informe di acquisire i caratteri di oggetto - un vaso, un’urna, un utensile.
L’ossimoro contenuto nel titolo Archeologia dell’Effimero aiuta a comprendere meglio il concetto di transitorietà che l’artista approfondisce a partire dalla lettura del saggio Modernità Liquida (2000) del sociologo polacco Zygmunt Bauman. Nell’idea di esistenza di Bauman, la società attuale si caratterizza per un elevato, quasi schizofrenico dinamismo, nel quale il cambiamento, per natura transitorio, finisce per assumere il carattere di dimensione costante. In quest’ottica, la nozione stessa di passato, evocata dal termine ‘archeologia’ nel titolo dell’opera, perde il suo status di punto di paragone e di riflessione sul presente e sul futuro. Tutto avviene in una continua, repentina, inafferrabile trasformazione, in cui passato e futuro si annullano per divenire eterno presente. L’opera diviene inoltre lo spunto per una riflessione sulle figure dell’archeologo (colui che lavora col passato e riporta in vita l’oggetto artistico) e dell’artista (per natura contemporaneo, che crea l’artefatto).
Epoca n°731, 736 è una serie di dieci sculture in cemento, il cui titolo richiama l’omonima rivista pubblicata in Italia tra il 1950 e il 1997. Questo lavoro combina il processo di stampa con quello della fotografia, e la scultura con l’architettura, ricerche care all’artista. Epoca n°731, 736 è un'azione di archiviazione: l’utilizzo delle immagini originali del periodico riporta in vita la rivista e ne fissa il contenuto per sempre su supporti di cemento. Canto esplora il processo di stampa e focalizza la sua attenzione sull’atto dell’assorbimento e trasferimento di informazioni da un corpo a un altro. Il risultato è una decodificazione, sebbene imperfetta, delle informazioni visive dall’originale alla copia. Il paesaggio appare svuotato e non tutti i colori vengono completamente trasferiti, solo lo scheletro della quadricromia, l’essenza dell’immagine. La lettura dell’inchiostro da parte della polvere di cemento crea una patina sottile e delicata, e conferisce all’immagine un carattere offuscato, passeggero, sabbioso, come se la rappresentazione potesse svanire al primo soffio di vento.
Sotto l’egida dell’efficienza, della leggerezza gestionale e della privacy, Canto riflette su come l’idea di un archivio fisico - pietra miliare del racconto passato, presente e futuro della nostra epoca - sembri avviarsi lentamente e inesorabilmente verso la sua s-materializzazione e trasformazione in un enormi cloud, in balia degli attacchi dell’effimero. Concrete Archive è un tentativo nostalgico di immortalare un presente che vira verso la digitalizzazione nebulosa e propone una lettura controcorrente all’evoluzione del nostro tempo verso l'inafferrabilità del virtuale attraverso slittamenti semantici del significato della parola inglese ‘concrete’ sia come ‘cemento’ sia come archivio ‘concreto’, tangibile, reale, materiale.
Testo di Carmen Stolfi
Stefano Canto (1974, Roma). Vive e lavora a Roma.
La ricerca di Canto esplora le connessioni tra il luogo e il tessuto sociale, impostando un discorso sul rapporto tra uomo e architettura. I suoi lavori sono stati esposti in Italia e all’estero in numerose istituzioni, tra le quali Biennale di Dakar (2016); American Academy in Rome, Roma (2015); Biennale Di Kochi Muziris (India 2014); Museo d’Arte Contemporanea Riso (Palermo 2014); Museo Civico del Marmo, Carrara (2013); Corpo 6 Gallery, Berlino (2012); MACRO, Roma (2012); Museo Carandente, Spoleto (2011); Fondazione Rocco Guglielmo, Catanzaro (2011); MAXXI e Tempio di Adriano, Roma (2009). Nel 2005 è stato vincitore del Premio Roma, e nel 2009 del Premio Terna 02.