Villa delle Rose 1936
Con la mostra Villa delle Rose 1936, a cura di Uliana Zanetti e Barbara Secci, si presenta una ricostruzione dell’allestimento realizzato ottanta anni or sono da Guido Zucchini, il primo a dare piena esecuzione delle volontà della donatrice includendo esclusivamente opere del XX secolo.
Comunicato stampa
Villa delle Rose 1936
a cura di Uliana Zanetti e Barbara Secci
Villa delle Rose (via Saragozza 228 – 230, Bologna)
24 settembre – 31 ottobre 2016
Inaugurazione aperta al pubblico: 23 settembre 2016 h 18.00
Nell'anno in cui ricorre il centenario della donazione di Villa delle Rose al Comune di Bologna da parte della contessa Nerina Armandi Avogli, l'Istituzione Bologna Musei propone una riflessione sul momento che può essere considerato l'avvio della storia della Galleria d'Arte Moderna che, con i suoi sviluppi successivi, in un secolo di storia, ha condotto a ciò che oggi è il MAMbo. Con la mostra Villa delle Rose 1936, a cura di Uliana Zanetti e Barbara Secci, si presenta una ricostruzione dell'allestimento realizzato ottanta anni or sono da Guido Zucchini, il primo a dare piena esecuzione delle volontà della donatrice includendo esclusivamente opere del XX secolo. L'esposizione, che si svolge nell'ambito delle celebrazioni di un'altra importante ricorrenza di quest'anno, CONCIVES 1116 - 2016 Nono centenario del Comune di Bologna, è aperta al pubblico dal 24 settembre al 31 ottobre 2016 e inaugura venerdì 23 settembre 2016 alle 18.00.
Nonostante le numerose perdite registrate durante la seconda guerra mondiale, grazie alle oltre cento opere superstiti e lavorando sull'attuale stato architettonico della Villa è stato possibile far rivivere nelle sue linee generali quel primo assetto delle collezioni, dando la possibilità al pubblico di oggi di vedere lavori raramente esposti negli ultimi decenni.
Riflettendo sul senso del lascito del 1916, Villa delle Rose 1936 costituisce inoltre un'occasione per la revisione critica di un periodo ancora poco studiato della storia dell'arte bolognese e per la conoscenza di un momento rivelatosi cruciale per il successivo sviluppo della città.
Fondamentali per restituire il senso dell'esposizione di ottanta anni fa e il contesto in cui fu allestita sono state le ricerche confluite nei saggi inediti che, con il testo di Uliana Zanetti, sono presenti nel catalogo che accompagna la rassegna: Anna Maria Matteucci Armandi Avogli ha tracciato le figure dei suoi avi Nerina De Piccoli e Guelfo Armandi Avogli, Manuela Rubbini ha ricostruito la storia di Villa delle Rose nei primi anni del Novecento, mentre Elena Pirazzoli ne ha ripercorso le vicende successive fino al secondo conflitto mondiale.
Villa delle Rose 1936 è resa possibile anche grazie al sostegno dell'Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna e al contributo Art Bonus erogato da Zanichelli Editore SpA, che hanno consentito di eseguire gli estesi interventi conservativi necessari all'esposizione di numerosi lavori in mostra.
La ricostruzione portata avanti dalle curatrici ha potuto contare su una vasta documentazione fotografica che testimonia con dovizia di particolari quale fosse l'assetto della collezione tra il 1936 e il 1940, rendendo più agevole immaginare come Zucchini abbia ragionato nell'accostare un numero di opere che oggi appare esorbitante: 207 lavori all'interno e 19 sculture all'esterno della villa, tutti appartenenti al XX secolo e a 128 artisti quasi tutti all'epoca ancora viventi.
Il riordino delle collezioni condotto otto decenni fa riusciva a dipanare un patrimonio disorganico, spesso costruito tramite premi cittadini prestigiosi (Curlandesi, Baruzzi), acquisti alle Biennali, alle mostre di associazioni private o del sindacato fascista, oltre che ovviamente donazioni di svariata provenienza, rendendo comunque leggibile la distinzione fra autori disomogenei, alternando generi e stili differenti nei vari ambienti.
Il percorso espositivo del 1936 si articolava in undici sale (più la loggia d'ingresso, il portico e il giardino) di cui oggi si è cercato di mantenere l'impostazione attraverso una per quanto possibile fedele collocazione delle opere ancora disponibili.
Troveremo dunque in apertura lavori di Gaele Covelli, Giuseppe Graziosi e Giovanni Masotti, tutti vincitori di Premio Baruzzi e, a seguire, di Ferruccio Ferrazzi, Ferruccio Giacomelli, Casimiro Jodi, Ludovico Lambertini, Silverio Montaguti, Emilio Notte e Ferruccio Scandellari.
Di quanto Zucchini aveva posizionato nella terza sala sono oggi visibili opere di Giuseppe Brugo, Ettore Burzi, Domenico Ferri, Augusto Majani, Ottavio Steffenini e Ugo Valeri, mentre
della quarta sala ritroviamo i premi del Curlandese di prospettiva con Aldo Avati, Dante Comelli, Gualtiero Pontoni, Guido Venturi, e di scultura con Cleto Tomba, insieme ai paesaggi di Teodoro Wolf Ferrari e Luigi Zago. A parte vanno considerate le quattro opere superstiti di Amleto Montevecchi, con la sua accorata attenzione ai temi del lavoro e alle classi meno agiate, affiancate a uno studio di Gaetano Leonesi.
Si assiste, a seguire, al confronto tra dipinti importanti di due grandi maestri della pittura bolognese, Alfredo Protti e Guglielmo Pizzirani, che Zucchini collocava nella quinta sala. Presenti alle Secessioni romane del 1913 e del 1915, nel 1936 si erano però distaccati da tempo dal vivo dei dibattiti nazionali. Protti, accolto già agli esordi da un eccezionale successo, che già nel 1910 gli era valso un invito alla sala internazionale della Biennale di Venezia, era stato insignito del Curlandese nel 1908 con L'infanzia e nel 1911 con Il Fuoco, entrambi saggi della sua abilità nell'accordare un dipinto su un unico colore dominante. Il vestito alla marinara (Ragazzo), Il piumino e la Figura allo specchio del 1918 sono invece esempi fra i più riusciti di quel naturalismo addolcito e di quell'inclinazione intimista che restano cifra distintiva di molta pittura bolognese di quegli anni. Più aspro e severo appare Mia madre e mia sorella, ritratto eseguito da Pizzirani che, pur rispettando una fedele resa del vero, documenta la persistenza nella sua arte di quei modi post-impressionisti che, se ai suoi esordi ne avevano fatto un ribelle al passo con i tempi, l'avrebbero però privato delle attenzioni di molta critica successiva.
Anche la sesta sala proponeva un raffronto tra due protagonisti del panorama regionale, Giovanni Romagnoli e Bruno Saetti, coronati da un esteso successo, all'epoca, nell'ambito delle esposizioni nazionali. Di Romagnoli, che fin dalla partecipazione alle mostre della Secessione Romana aveva ottenuto rilevanti riconoscimenti e che nel 1935 aveva avuto una sala personale alla Quadriennale di Roma, sono visibili tre dipinti di figura tutti premiati ai concorsi bolognesi, che restano fra i suoi capolavori: Merlettaie del 1921, Ballerina con fiori e Toeletta del 1923. Bruno Saetti, più giovane di una decina d'anni e all'epoca già trasferito da oltre un lustro a Venezia come docente della locale Accademia, nel 1939 avrebbe clamorosamente vinto il primo premio per la pittura alla Quadriennale romana, superando Morandi che arrivò secondo. A Villa delle Rose nel 1936 era presente con tre quadri insigniti dei premi bolognesi e con altri tre acquistati, tutti oggi visibili: due paesaggi - Canale della Giudecca del 1931 e Paesaggio della Ciociaria del 1933 - e quattro tele con figure: Bambino con fiori del 1926, due Maternità e Donna uscita dal bagno, tutte del 1929. Nella ricostruzione del 2016 è stato deciso di collocare in questa sala anche dipinti di Ilario Rossi e a Farpi Vignoli.
Della settima e dell'ottava sala allestite da Guido Zucchini ci rimangono opere di Ettore Bocchini, Luigi Cervellati, Gino Marzocchi, Antonio Maria Nardi, Alberto Negroni, Bruno Santi e Antonino Sartini. Della sala nove invece, che raggruppava disegni e stampe, sono presentate le ricercate xilografie di Francesco Dal Pozzo, le incisioni di Ubaldo Magnavacca, un monotipo di Giovanni Secchi, una altera testa di donna di Oddone Scabia, i 18 cartoni con figure di scolaretti di Lorenzo Viani e, soprattutto, tre preziose acqueforti di Giorgio Morandi, le cui incisioni disperse vengono qui sostituite con altri esemplari degli stessi soggetti, donati al Comune di Bologna nel 1961 dall'artista stesso, facenti oggi parte del patrimonio del Museo Morandi: Paesaggio del Poggio (1927), Case del Campiaro a Grizzana (1929) e Grande natura morta scura (1934).
Della decima sala, che esponeva recentissime acquisizioni dell'epoca, rimangono innanzitutto il piccolo olio Strada di Filippo De Pisis acquistato alla V Mostra Interprovinciale d'Arte e L'auriga (1934) del già citato Farpi Vignoli, già allora avvicinato dai critici alle temerarie sperimentazioni di Arturo Martini; sono arrivati a noi anche lavori di Pietro Angelini, Nino Bertocchi, Aldo Carboni, e Mario Gamero.
Dell'undicesima sala, a chiusura del percorso, oggi abbiamo ancora le opere dei futuristi Alberto Alberti e Angelo Caviglioni, insieme a un dipinto di Mario Pozzati.
Nel dopoguerra le collezioni di Villa delle Rose si arricchirono, grazie a qualche acquisto e a diverse donazioni – talvolta intese a ricostituire il patrimonio disperso durante il conflitto – di numerose opere di pregio degli artisti bolognesi attivi nella prima metà del XX secolo. Per Villa delle Rose 1936 sono stati selezionati alcuni lavori che vengono esposti in rappresentanza di Carlo Corsi, Flavio Bertelli e Garzia Fioresi: figure troppo importanti per consentire che la dispersione di quanto mostrato nel 1936 permettesse di ignorarle.
Sono state invece omesse, soprattutto per ragioni logistiche, le sculture che il catalogo di Zucchini segnalava all'esterno.
Villa delle Rose 1936 prevede una serie di visite guidate gratuite su prenotazione (sarà dovuto solo il biglietto d'ingresso, €5 intero, € 3 ridotto), il giovedì e la domenica alle ore 17.00, che saranno condotte da una delle curatrici (prenotazioni allo 051 6496611).
Sabato 24 e domenica 25 settembre alle ore 17.00, inoltre, Uliana Zanetti terrà due visite guidate speciali nell'ambito della rassegna Vivi il Verde organizzata da IBC Emilia-Romagna.