Interrogare lo spazio
Luoghi segreti, labirinti senza muri, figure in equilibrio precario. La Galleria smette l’asetticità e il rigore di una “white box” e si dispiega in una dimensione frammentaria, plurima, inafferrabile.
Comunicato stampa
Luoghi segreti, labirinti senza muri, figure in equilibrio precario. La Galleria smette l'asetticità e il rigore di una “white box” e si dispiega in una dimensione frammentaria, plurima, inafferrabile. Il suo spazio non è più semplicemente un contenitore, ma anche un generatore di vita e le opere non si limitano più a mostrarsi, ma esplorano anche i confini comportamentali, psicologici, memoriali dell'ambiente. Esprimono qualcosa di non ancora detto o di non ancora conosciuto. Fanno vedere uno spazio “altro”, dove lo stesso termine di “confine” non allude “a ciò in cui qualcosa termina e finisce, bensì a ciò a partire da cui qualcosa comincia” (Heidegger).
I sei artisti invitati, esponenti di generazioni e linguaggi diversi, sembrano tutti dei grandi escogitatori di artifici visivi, dei geniali sperimentatori di combinazioni improbabili. Paolo Scirpa (Siracusa, 1934), ad esempio, progetta pozzi luminosi (“Ludoscopi”) che aprono finestre su mondi apparentemente infiniti. Paolo Masi (Firenze, 1933) impiega lastre di plexiglass trasparenti e dipinte, suscitando luoghi che giocano sull'ambiguità tra dentro e fuori, emozione e ragione, parvenza e visionarietà. Entrambi mirano a modificare i connotati dello spazio, introducendo una sorta di “poetica dello spostamento” o del rovesciamento, se non addirittura la strategia del “tromp l'oeil”, con il suo fascino spirituale dell'inganno.
Con Carlo Bernardini (Viterbo, 1966) e Pietro Pirelli (Roma, 1954) i materiali messi in campo (materiali luminosi, acustici o elettronici) sembrano strapparci dal mondo esterno e trasportarci in un mondo ultraterreno. I disegni di luce di Bernardini, ottenuti mediante fibre ottiche, danno vita ad una architettura potenziale, che accende di interminabili vibrazioni il silenzio del vuoto: sono linee di tensione verso l'ignoto, esili presenze che trascinano nella loro ansia d'infinito quanto più spazio possibile. Ma anche le complesse installazioni di Pirelli (“Idrofoni”) sono continue interpretazioni dei luoghi che le ospitano. Esse ci mettono di fronte ad una sorta di “polifonia visiva”, dove vari impulsi sonori si riverberano nell'ambiente sotto forma di proiezioni di onde luminose. Ed è come se il suono si spazializzasse o, meglio, come se ogni dato concreto si trasformasse in dato astratto e astrale.
Con Emanuela Fiorelli (Roma, 1970) si ha l'impressione di rientrare nei limiti del quadro, della costruzione, del calcolo. I suoi lavori possono sembrare addirittura ritmi geometrici: in realtà sono movimenti di percezione, tensioni che si stratificano o che si espandono. Così lo spazio ancora una volta diventa un'illusione, una dimensione senza coordinate, in cui a contare è l'esperienza visiva a cui l'opera sottopone l'osservatore. E un discorso non dissimile può essere fatto anche per le figure (in spago o in bronzo) di Alex Pinna (Imperia, 1967) che sono sempre in bilico, in sospensione, ma che soprattutto sono consumate, sfinite, ridotte quasi a dei semplici segni nello spazio. Il suo è un teatro che si spoglia: un luogo non da vedere, ma da immaginare. Una scena della mente.
Scrive l'autore francese Georges Perec: “Lo spazio è un dubbio: devo continuamente individuarlo, designarlo. Non è mai mio, mai mi viene dato, devo conquistarlo”. Ebbene, questa mostra intende proprio dare testimonianza di uno sguardo indagatore che è coinvolto in una rete di relazioni, in una molteplicità di codici e di livelli di lettura. Non può fermarsi né arrivare ad un punto di conclusione. Ma in questo suo spaesato peregrinare vede aprirsi nuovi orizzonti percettivi e di senso. L'opera diventa l'ambiente stesso: uno spazio potenziale, congetturale, plurimo, che ci permette di fare le esperienze più inverosimili e paradossali (di sprofondare, di alzarci acrobaticamente, di vedere il suono che si colora). Come in una pagina di Borges, siamo invitati ad individuare anche ciò che non c'è, a intuire l'alternativa possibile, l'altra faccia del mondo: a cogliere la traccia nascosta, proprio come in un racconto poliziesco.