Stefano Simone – C.r.a.s.h.
Mostra personale
Comunicato stampa
Non posso che cominciare da Crash di James Ballard. Non so se Stefano Simone per questa nuova serie di lavori si sia ispirato al libro ma da quest’ultimo credo che io non possa prescindere per darmi (vi) alcune risposte.
Stefano l’ho conosciuto ad una collettiva dove l’identità era il tema principale. E la sua Identità nei quadri esposti era ben evidente e chiara a tutti. Volti di donne, di uomini “defigurati e scomposti” rivelatori di un silente mal di vivere.
Oggi di fronte alla serie C.r.a.s.h mi chiedo che cosa sia successo alla sua identità non solo artistica.
Torniamo alla fonte. I personaggi di Crash (il libro) sono esseri profondamente umani, in carne e ossa, che subiscono ferite e lacerazioni, “una mutazione non genetica ma fisica", dovuta all'impatto con la macchina. Il corpo di Crash è un mutante che si completa nello scontro con la carrozzeria e l'interno dell'abitacolo, estendendo e amplificando la propria zona erogena a tutta la superficie della vettura.
Un modo di vedere e percepire il corpo che esplora la possibile e violenta eccitazione dell'impatto, lasciando intravedere territori e scenari oscuri dell'interiorità umana, ancora più inquietanti perché molto simili a quelli considerati normali.
L'incidente stradale funziona come catalizzatore di queste energie; punto di contatto tra il corpo, l'abitacolo e le lamiere.
I personaggi di C.r.a.s.h (la mostra) invece sono latenti. Sono eterei. Li ritroviamo sotto forma di carcasse. Ammassati. Uno sull’altro. La figura umana è stata ridisegnata attraverso una complessa geometria. I corpi di Stefano nascondono ferite e cicatrici che il tempo non può che arrugginire. Ciò che entra in gioco in questa ultima serie è soprattutto la questione della cancellazione o l'ambiguità del confine fra normalità e devianza, tra male e bene, morale e immorale dove l’unica zona erogena è la nostra immaginazione. L’incidente stradale è un CRASH emozionale.
Senza conoscere la storia artistica di Stefano, di fronte a queste nuove opere potremmo rimanere semplicemente e piacevolmente colpiti dalla maestria del tocco e dai colori poco invasivi e tenui. Ma non ci si può fermare a questo. Il rischio da correre, come spettatore, è quello di entrare in questo universo fittizio, che assomiglia pericolosamente a quello che si è abituati a vedere, con la possibilità di non intravedere l'orizzonte tra normalità e patologia.
Il rischio da correre è uno solo: lasciarsi coinvolgere e dire l'ultima parola.