BAM Piemonte Project 7
Biennale d’Arte Moderna e Contemporanea del Piemonte
Comunicato stampa
BAM 2016
Fonderie Teatrali Limone Moncalieri
“MODO. La moda nell'arte, l'arte nella moda”
La BAM ha una precisa finalità, in decisa controtendenza rispetto alla “biennalite” caratterizzante la scena artistica contemporanea nell’era della globalizzazione, che è quello di valorizzare l’arte e la creatività piemontese dal secondo dopoguerra ad oggi secondo un percorso che, ad ogni scadenza, si indirizza verso aree diverse di analisi storica e contenutistica.
Dopo “Proposte artistiche in Piemonte 1996/2004” della sperimentale edizione del 2004, e “Arte in Piemonte 1975/1995” tema del 2006 e prima fase di reale consolidamento dell’iniziativa, ed il significativo intermezzo della “BAM on Tour 2007”, nel 2008 abbiamo approntato una manifestazione intitolata “Art Design”, che ha conosciuto un significativo corollario nell’estate 2009 con uno spettacolare allestimento presso il Castello di Racconigi che, unitamente alla presenza ad Artissima, ha sancito il lancio definitivo di una manifestazione nata per pura scommessa intellettuale e tramutatasi in un appuntamento importante nel folto panorama di iniziative artistiche che caratterizza Torino ed il Piemonte. Nel 2010 con “BAM Piemonte Project Grafik” , bissata con “BAM on Tour 2011” per la prima volta a Torino, abbiamo, con successo, privilegiato il rapporto tra l’arte e la grafica pubblicitaria ed industriale, ma anche il fumetto ed il neo pop. La quinta edizione della BAM si è svolta, dopo Verbania per le prime tre edizioni e Carmagnola per la quarta, a Chieri, in sedi prestigiose quali la Biblioteca e l’Imbiancheria del Vajro, ed anche nelle vetrine del centro cittadino, con il titolo “Contemporary Photobox 2012”, con l' obiettivo di cogliere l’evoluzione di una linea stilistica legata all’uso delle tecnologie quindi fotografia, video ed immagine digitale. La “BAM on Tour 2013”, dedicata alla giovane fotografia piemontese, si è svolta presso l'NH Lingotto Tech. Con la sesta edizione, anticipata rispetto al consueto nel febbraio 2014 sempre presso l'Imbiancheria del Vajro, “BAM Piamonte Project 6 80”, dedicata a quel stimolante e controverso decennio, ed un allestimento coronato da un autentico e pieno successo, riteniamo che la BAM sia entrata definitivamente nell'eccellenza delle rassegne artistiche della nostra regione. Fatto certamente confermato dalla “BAM on Tour 2015”, che, in sintonia con le celebrazioni religiose svoltesi nel 2015 nella nostra regione, ha allestito una mostra in tema presso il Giardino delle Rose del Castello di Moncalieri, dal titolo “Il cuore sacro dell'arte. La dimensione spirituale nell'arte piemontese contemporanea”.
Per la settima edizione abbiamo scelto ancora la Città di Moncalieri.
L'allestimento sarà organizzato presso il Foyer delle Fonderie Teatrali Limone.
Il tema affrontato è quello, unico inedito per noi relativamente alle arti applicate, della moda, con il titolo di “MODO. La moda nell'arte, l'arte nella moda”.
Nel corso del Novecento, a partire dalla avanguardie storiche, Futurismo in primo luogo, molteplici sono state le contaminazioni, gli spunti, le reciproche influenze, dirette o tangenti, tra le due discipline. Si pensi, nel secondo dopoguerra, tra i molti esempi, alle sfilate di Pinot Gallizio con le modelle cinte da abiti realizzati con rotoli di “pittura industriale”, alle varie declinazioni della Pop Art, ai luccicanti anni Ottanta, con la creatività di stilisti come Elio Fiorucci, che fu il primo a portare in Italia Keith Haring.
Certo, si tratta di un tema affascinante, variegato e complesso, che avrebbe meritato un paio di anni di lavoro, una rete di collaboratori, un budget da grande evento.
Tutte cose di cui purtroppo la BAM non dispone.
Io e Riccardo Ghirardini dal 2002, anno della preview del progetto presso il Fabrik di Moncalieri, portiamo avanti con tenacia ed entusiasmo questa iniziativa, forse l'unica che, a cadenza ormai annuale, stante l'avvento dal 2007 dell'edizione On Tour, si pone l'obiettivo di analizzare in modo non conformista la creatività del territorio, in una accezione di valorizzazione e confronto internazionale, compito a cui i Musei pubblici e privati della Regione, nella quasi totalità, GAM e Rivoli in primo luogo, hanno da tempo abdicato, soprattutto per quanto concerne lo scenario dalla seconda metà degli anni Ottanta ad oggi, ma con ampie omissioni anche riguardo situazioni già storicizzate. Abbiamo in questi anni fatto miracoli con i pochi mezzi a disposizione, rendendo la BAM una manifestazione stimata e credibile, grazie al sostegno della Regione Piemonte , dei centri piemontesi in cui si è allestita la rassegna, di alcuni sponsor, tra cui la Fondazione CRT, e ad un patrocinio prestigioso come quello del MIBAC.
Siamo cresciuti soprattutto grazie al consenso ed alla collaborazione degli artisti e del pubblico.
Riguardo al tema di questa settima edizione, dopo aver posto in relazione il linguaggio dell'arte con quello del design, dell'illustrazione e del fumetto ci pareva giusto, anche a seguito di alcuni suggerimenti , farlo anche con la moda, pur consci della vastità dell'argomento.
Abbiamo optato per una soluzione che punta su di un ristretto e qualificato nucleo di artisti sintonici al tema, affiancati da uno stilista importante come Walter Dang, che ha fatto di Torino la base per un successo divenuto internazionale, da due artisti e docenti emeriti dell'Accademia come Carlo Giuliano e Paola De Cavero, dalla scuola di Fashion Design dell'Albertina di Sara Chiarugi, per concludere la carrellata con la performance di Claudio Bellino.
La moda come simbolo di creatività e di potere e come "divisa sociale" è un fenomeno che affonda le sue radici fin da tempi remoti, legata anche alla dimensione della ritualità, dimensione che, come sostiene Walter Benjamin nel profetico saggio "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica". si dissolve a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, per effetto dell'avvento degli strumenti di riproduzione, che allargano il valore di esponibilità, e del progresso tecnologico. La sfera della ritualità cede, a quel punto, il testimone a quella politica.
Di un rapporto tra arte e moda, anche a seguito di riflessioni di natura sociologica e filosofica, si può concretamente iniziare a parlare a partire da quella fase storica, quando la società europea muta il suo assetto per effetto degli eventi del 1789 e della Rivoluzione Industriale, e la moda diventa non più appannaggio esclusivo del ceto aristocratico al potere, o, nel caso delle classi subalterne, pretesto per analisi antropologiche, ma si tramuta in fatto di costume divenendo un termometro della società, nei termini dell'inclusione/esclusione sociale.
Come sottolineato da uno dei più significativi intellettuali tra fine Ottocento e primo Novecento, Georg Simmel, che con il suo saggio "La moda", pubblicato nel 1895, affronta un tema alla fine di quel secolo diventato ormai di stringente attualità. Simmel pone l'attenzione non già sulla "sostanza", quanto sulla "funzione" della moda, cercando di comprendere il suo scopo nell'organizzazione della società, ed in rapporto ai bisogni dell'individuo. Per Simmel la moda è in primo luogo un fenomeno sociale, un meccanismo che coopera alla creazione di raggruppamenti , e risponde ai nuovi bisogni di una società divisa in classi, cerchie, ceti e professioni quale è quella capitalista. Il suo essere fenomeno effimero e perennemente cangiante è figlio della velocità moderna e del ritmo delle metropoli, mutamenti intuiti e divulgati, tra gli altri, da Baudelaire, e poi dalle avanguardie storiche e da Walter Benjamin. La moda è, prima di tutto, un fenomeno di classe, con tendenze ad un abbigliamento che sia simbolo di omologazione e di riconoscimento sociale, ma è anche esaltazione dell'individualismo, esibizione di un modo di vestire eccentrico e stravagante, ma anche ricercato, come nel caso del dandy, che attira l'attenzione su di se come veicolo di alterità rispetto ai miti e ai riti della nascente società di massa. Scrive Simmel : "La moda è imitazione di un modello dato e appaga il bisogno di appoggio sociale, conduce il singolo sulla via che tutti percorrono, dà un universale che fa del comportamento di ogni singolo un mero esempio. Non di meno appaga il bisogno di diversità, la tendenza alla differenziazione, al cambiamento, al distinguersi. Se da un lato questo risultato le è possibile con il cambiamento dei contenuti che caratterizza in modo individuale la moda di oggi nei confronti di quella di ieri e di quella di domani, la ragione fondamentale della sua efficacia è che le mode sono sempre mode di classe, che le mode della classe più elevata si distinguono da quelle della classe inferiore e vengono abbandonate nel momento in cui quest'ultima comincia a farle proprie. Così la moda non è altra che una delle tante forme di vita con le quali la tendenza all'eguaglianza sociale e quella alla differenziazione individuale e alla variazione si congiungono in un fare unitario. Se si esamina la storia della moda, che finora è stata trattata soltanto in rapporto allo sviluppo dei suoi contenuti, secondo la sua importanza per la forma del processo sociale, essa si rivela come la storia dei tentativi di adeguare sempre più l'appagamento di queste due opposte tendenze al contemporaneo livello della cultura individuale e sociale. I singoli tratti psicologici che osservavamo nella moda si ordinano in questo suo carattere fondamentale"
Gli elementi di dinamismo e velocità del corpo sociale in rapida mutazione denunciati da Simmel vengono ripresi ed ampliati dalle avanguardie storiche, in particolare dal Futurismo, con l'aggiunta della carica generata da una veemente volontà di rinnovamento e di contestazione al decadentismo estetizzante della società di fine Ottocento, ed alla pedanteria e conformismo culturale imperanti. La moda si tramuta da funzionale esercizio di stile ad elemento di arte applicata. La carica antiborghese del Futurismo, la sua rivendicazione di uno sconfinamento dell'arte dai suoi angusti recinti istituzionali verso il mondo, in una dimensione etica ed estetica, tocca il modo di vestire alla ricerca di un nuovo linguaggio artistico accessibile alla massa. Ciò, in coerenza con lo spirito anticipatore dei tempi del Futurismo, ha introdotto la rivendicazione della democratizzazione della moda, aprendo le porte a quello che, molti decenni dopo, sarebbe diventato il pret a porter. La concezione del vestito per i futuristi diventa simbolo di un nuovo modo di concepire l'esistenza. Quindi deve essere caratterizzato dalla presenza di colori sgargianti e tra loro armonici, dotato di un taglio nuovo, infatti il collo a V sarà una acquisizione di quell'epoca, dall' utilizzo degli accessori, definiti "modificanti", come elemento fondamentale di personalizzazione dell'indumento, tale da non permettere lo sprofondamento nell'anonimato di massa. I postulati dell'abbigliamento debbono essere quelli dell'arte futurista, luce, colore e dinamismo, rigetto della tradizione ed esaltazione della creatività personale. Giacomo Balla ebbe ad affermare "si pensa e si agisce come si veste". Alcuni di questi argomenti ritornano negli scritti che un importante intellettuale francese del secondo dopoguerra, Roland Barthes, dedica, tra il 1955 ed il 1967, alla semiotica della moda. Le riflessioni di Barthes traggono ispirazione dal saggio redatto nel 1916 da Ferdinand de Saussure con il titolo "Corso di linguistica generale". In questo saggio si afferma come il linguaggio umano possa essere studiato sotto due profili, quello della "langue" (aspetto formale e sociale), e quello della "parole" (aspetto concreto e individuale). La stessa impostazione, secondo Barthes, può essere applicata anche al vestito, perche i fenomeni legati all'abbigliamento sono costituiti dal modo in cui gli individui indossano il costume che viene loro proposto dal gruppo sociale di appartenenza. Ma mentre Barthes studia l'abito come linguaggio, cerca di comprendere quello che può dire, i Futuristi gli assegnano un compito, quello di testimoniare l'avvento di un nuovo stile di vita. Nell'ambito della stesura dei manifesti, forma di comunicazione più importante del Futurismo, dopo il "Manifesto del Vestito Antineutrale", redatto nel 1914 in chiara logica interventista, atteggiamento peraltro comune alla grande maggioranza dell'avanguardia europea, una attenzione sempre maggiore alla moda, e ad altre arti applicate o modelli di comunicazione, come arredamento, cucina e pubblicità, sarà appannaggio del cosiddetto "Secondo Futurismo", dal 1920 fino alla morte di Marinetti nel 1944, quando, delusi nella loro volontà di condizionare e guidare la politica dopo la svolta reazionaria del Fascismo, i Futuristi si concentrano verso la creazione di una società estetica. Avremo quindi, proprio nel 1920, il "Manifesto della moda femminile futurista" e, nel 1933, il "Manifesto Futurista della Cravatta Italiana".
Il secondo dopoguerra, con la ricostruzione ed il boom economico, che conosce il suo apice negli anni Cinquanta, ristabilisce un clima di fiducia, dopo lo scoramento successivo alla conclusione del tragico secondo conflitto mondiale. Sono anni in cui ritornano a circolare le idee delle avanguardie primo novecentesche, relativamente al ruolo che l'arte può detenere nel nuovo contesto sociale caratterizzato da un'evidente progresso tecnologico e dalla diffusione su larga scala di merci e beni di consumo. Si tratta di una fase di grande spolvero per la creatività italiana, soprattutto nell'ambito dell'arte applicata ed in particolare nel design, che assurge a vertici di eccellenza internazionale. Il dibattito dell'avanguardia si concentra soprattutto nei primi anni del Situazionismo (1957-1961), movimento che raccoglie alcune delle migliori menti europee quali Guy Debord, Asjer Jorn, Costant, proprio in Piemonte, ad Alba e nel territorio della Langa, grazie alla carismatica figura di Pinot Gallizio. Il Situazionismo sostiene la necessità dell'abbattimento degli steccati tra arte e vita, un ruolo sociale per l'artista pari a quello di altre categorie professionali, la creazione di una società estetica dove la bellezza possa essere patrimonio di tutti, il deprezzamento delle opere o, nei casi più radicali, la completa sparizione del sistema dell'arte. Gallizio pone in essere delle geniali performance, prima tra tutte quella della "pittura industriale", dove lunghi rotoli di tela dipinta vengono posti in vendita a metro, a prezzi accessibili. Altra derivazione da questa idea fu la creazione di abiti femminili colorati fatti indossare a delle modelle, con la tradizionale sfilata tramutata in azione artistica, modelle usate anche da Yves Klein per creare calchi antropomorfi intrisi di colore blu, alle origini di quella che diventerà, a breve, la Body Art.
Negli anni Sessanta ci troviamo all'interno di una fase storica cruciale. Da un lato l'arte diventa a pieno titolo "contemporanea" concretizzando con le correnti Pop e le varie declinazioni del Concettuale, la fuoriuscita dall'alveo bidimensionale, dall'altro la società dei consumi vive, tra l'inizio e la fine del decennio, un passaggio emblematico tra il suo momento di apice, e l'inizio del declino, dopo il 1968. La Pop Art americana abdica alla dimensione narrativa per dedicarsi all'esaltazione degli stereotipi consumistici e delle icone glamour del cinema, della musica, della cronaca e del potere politico. Andy Warhol crea a New York la Factory e la rivista Interwiew, realtà che vivono del dialogo simultaneo tra arte, cinema. musica e moda. Anche la figura della modella acquista nuovo carisma, basti pensare a Twiggy, cui Mary Quant affidò il lancio della minigonna, e che fu una delle muse predilette da Warhol, Verushka o Donyal Luna, prima modella di colore, che collaborò con vari creativi e registi, come il nostro Carmelo Bene, con un ruolo importante nel film "Salomè" del 1972. La moda, a partire dai Sessanta, esce fuori dai confini della sartoria d'alto rango, o della produzione qualitativa di serie, per focalizzarsi sulla debordante creatività di alcuni grandi nomi che diventano gradualmente delle star a livello mondiale, fenomeno che prosegue nel decennio successivo per conoscere l'apice negli anni Ottanta, nomi talmente celebri che non vale la pena di citarli a mo' di elenco. Da segnalare una serie di abiti divenuti celebri, ispirati allo stilista francese Yves Saint Laurent dalle opere di Piet Mondrian.
Il decennio successivo, quello dei Settanta, è, al tempo stesso, pieno di stimoli e di contraddizioni. Termina l'ondata benefica della ricostruzione post bellica e, per effetto della crisi petrolifera, l'industria e la produzione entrano in una fase di pesante recessione. Sono anni di impegno civile, con importanti conquiste di cui ancora oggi si avvertono i benefici in termini di diritti acquisiti, di tensione politica e sociale con la strategia della tensione ed il terrorismo, ma anche di creatività soprattutto giovanile. La moda degli anni '70, fatta di camicioni a colori sgargianti, pantaloni a zampa di elefante, sandali e gonne indiane e, più in generale, l'infatuazione per l'India e per l'Oriente, trova forti riscontri nella musica ma pressoche nessuno nell'arte, che in quel decennio vive l'algido rigore e l'impegno politico del Concettuale.
Discorso tutto diverso per gli anni Ottanta. La conclusione di un periodo storico precedente, caratterizzato da una massiccia presenza dell'ideologia, e dal predominio del collettivo rispetto al singolo, determina l'avvento di una fase multidisciplinare di estroversione creativa e di individualismo sfrenato, caratterizzata da molti aspetti positivi, nei termini di una liberazione della vocazione artistica e comunicativa e da vari tabù e dogmi, in realtà eredità concretizzata delle battaglie dei movimenti degli anni Sessanta e Settanta, e da alcuni controversi, come un certo culto eccessivo dell'immagine, del denaro e del successo. Sono anni di euforia economica, determinata dall'avvento di politiche liberiste e dall'inizio di una fase, che perdura ad oggi, dominata dalla finanza. In Italia è l'epoca del "Made in Italy" e del trionfo dei nostri stilisti, che diventano delle celebrità mondiali, come Giorgio Armani, Valentino, Krizia, Trussardi, Ferrè, Gianni Versace e successivamente Moschino e Dolce & Gabbana, per citarne alcuni, senza dimenticare le shoccanti campagne fotografiche di Oliviero Toscani per Benetton, per molti direttamente ispirate dal creatore di moda veneto. Ma se si vuole indicare uno stilista realmente simbolico del rapporto tra arte e moda, questi è certamente Elio Fiorucci, scomparso circa un anno fa. Fiorucci rappresenta la parte migliore del decennio, in termini di creatività applicata alla produzione di capi d'abbigliamento innovativi ed al tempo stesso, alla portata di tutti in termini di possibilità d'acquisto. Lo stilista milanese si è, fin dagli anni Sessanta, nutrito di ispirazioni provenienti dal mondo dell'avanguardia artistica, dove avverte la presenza di una tensione creativa e di una capacità di comunicare che appaiono congeniali alla sua filosofia di vita. Memorabili diverse sue iniziative nei primi anni Ottanta, come la decorazione affidata a Keith Haring del suo show room milanese, ed il primo concerto italiano di una ancora sconosciuta Madonna, di cui Fiorucci, da accorto talent scout, aveva intuito il talento.
La fase successiva, dagli anni Novanta ai giorni nostri, si è giocata prevalentemente nell'ambito di un eclettismo stilistico affine allo spirito relativistico e citazionista della post modernità, peraltro già iniziato negli anno Ottanta da un punto di vista formale, anche se, in quel decennio, si viveva ancora in una dimensione parzialmente proiettata verso il futuro, dimensione oggi del tutto assente e sostituita, specie dopo il crollo delle Torri Gemelle del 2001, con conseguente avvento del terrorismo globale, e la crisi economica del 2008, da una visione d'insieme che non riesce ad andare oltre un raggio breve. La categoria che potrebbe riassumere questo periodo storico penso possa essere quella del "Camp". L'estetica Camp, che pare affine ma è in realtà differente rispetto a quella del kitsch, dove spesso chi produce è convinto della bontà del suo operare, e quindi ricade nella vasta categoria del "dilettantismo" artistico, parte non da oggi ma dalla fine dell'Ottocento, da quel Dandysmo di cui Oscar Wilde si può considerare nume tutelare. Il Camp si consolida, ma non solo, nel mondo omosessuale, peraltro assai vicino alla sensibilità della moda, e vede la dimensione estetica concepita in primo luogo come messa in scena ed artificio. Secondo la definizione di Susan Sontag del 1964 : "Camp è una forma particolare di estetismo. E' un modo di vedere il mondo come fenomeno estetico. Questo modo, il modo di Camp, non si misura sulla bellezza ma sul grado di artificio e stilizzazione". A partire dall'Art Nouveau, il Camp si sviluppa in una dimensione duplice che privilegia sia i soggetti che gli oggetti, in una accezione estetica che vede la prevalenza dello stile rispetto al contenuto. Metafora che ben si addice alla scena attuale, sia dell'arte che della moda. L'estetologo Mario Perniola, uno dei più lucidi osservatori del contemporaneo, nel suo saggio "L'Arte e la sua ombra", pubblicato nel 2000 ma del tutto attuale, si esprime così parlando del realismo estremo : " Nel realismo estremo due linee di tendenza sono emerse con particolare chiarezza : la prima orientata verso la moda, la seconda verso la comunicazione. Il realismo estremo ha prodotto una quantità assai rilevante di immagini dotate di fortissimo impatto emozionale : esse interagiscono con quelle della moda, del cinema, della televisione, di internet, della grafica, della pubblicità, del design, dando luogo ad un immaginario sociale caratterizzato dalla provocazione. La ricerca della novità e dell'effetto, perseguita per se stessa, implica anche una rapida usura o obsolescenza delle immagini, che debbono essere continuamente sostituite da altre di maggior forza d'impatto, oppure di caratteristiche capaci di risvegliare l'attenzione. L'arte tende così a dissolversi nella moda, la quale ottunde e spegne la forza del reale, dissolve la sua radicalità, normalizza e omogeneizza ogni cosa in uno spettacolo generalizzato...Ora l'arte è certamente affine alla moda, perchè condivide con essa non solo il brivido della novità e della sfida, ma anche l'ebbrezza che deriva dal sentirsi in presa diretta con lo spirito del tempo; tuttavia essa non è mai attuale nel senso in cui è la moda, cioè sociologicamente dominante."
Edoardo Di Mauro