Halida Boughriet – Pandora’s Box
Curata da Silvia Cirelli, la mostra Pandora’s Box raccoglie 15 opere dell’artista mai esposte in Italia, nel tentativo di esplorare la grande versatilità di una giovane interprete che continua a sorprendere con un’estetica ricercata e incisiva, profondamente attenta alle difficili dinamiche dell’universo interiore.
Comunicato stampa
Dal 20 ottobre all’11 dicembre 2016, la galleria Officine dell’Immagine di Milano ospita la prima personale italiana dell’artista franco-algerina Halida Boughriet (Lens, 1980), fra le più talentuose voci dell’emergente panorama artistico.
Curata da Silvia Cirelli, la mostra Pandora’s Box raccoglie 15 opere dell’artista mai esposte in Italia, nel tentativo di esplorare la grande versatilità di una giovane interprete che continua a sorprendere con un’estetica ricercata e incisiva, profondamente attenta alle difficili dinamiche dell’universo interiore.
Nota a livello internazionale per esposizioni al Centre Pompidou o all’Institut du Monde Arabe di Parigi, Halida Boughriet ama confrontarsi con tematiche legate a problemi socioculturali, identitari, comportamentali e geopolitici che interessano non solo la realtà africana – a cui è strettamente legata – ma che riguardano in generale la storia culturale attuale, segnata oggi, più che mai, da scompensi derivanti il senso di sradicamento, l’incomunicabilità fra le persone e il bisogno di “appartenere”.
Partendo dall’utilizzo del corpo come fondamentale veicolo espressivo, l’artista si distingue per una netta predilezione di specifici linguaggi che fanno della performance il proprio punto focale. Riprodotte con serie fotografiche, o semplicemente documentate su supporto video, le azioni performative presenti nelle sue opere – e di cui a volte è protagonista anche la stessa Boughriet – catturano secondo l’artista l’autentico potere delle ambiguità emozionali. In un equilibrio precario che miscela bellezza e sofferenza, evasione e costrizione, questa giovane interprete smaschera le tensioni dei comportamenti umani, rivelandone le sotterranee fragilità.
Nucleo centrale del percorso espositivo è la serie fotografica Pandore (2014), alla quale si ispira anche il titolo della mostra. Eleganti interni d’ispirazione fiamminga, riproposti però in chiave contemporanea, svelano inverosimili mise en scène che hanno come protagonisti un gruppo di ragazzini dei sobborghi parigini. Il netto contrasto fra l’immacolata ricercatezza dell’ambientazione e l’estraneità dei suoi ospiti viene ulteriormente accentuato dalle innaturali pose di quest’ultimi, chiaramente e forzatamente inseriti in un contesto che non appartiene loro.
La minuziosa attenzione per i dettagli scenici torna anche nella serie Corps de Masse (2013-2014), ambientata nelle incantevoli sale del Museo d’Arte e di Storia di Saint-Denis, Francia. I corpi dei personaggi degli scatti, illuminati da una poetica e intima luce naturale che ne custodisce il lirismo, si muovono lentamente per poi unirsi in armoniose pose che riprendono i soggetti dei quadri esposti nella collezione del Museo.
Temi come la memoria culturale e l’importanza della coesione fra le persone rimangono nuovamente centrali nel recente progetto Réflexion(s) del 2016, che rilegge la teoria del filosofo Leibniz per la quale si considera la realtà come una miscela di percezioni – e riflessioni, appunto – che devono fondersi insieme per un’armonia universale. In questa prospettiva, con Reflexion(s) l’artista propone l’utilizzo dello specchio per far partecipare l’osservatore alla proiezione di cui “l’altro” è protagonista: ciò che infatti vede lo spettatore non è che il riflesso di quanto viene contemplato dal soggetto della fotografia.
La mostra prosegue poi con il video Autoportrait, in cui gli occhi della stessa Boughriet diventano letteralmente lo specchio di dolorosi ricordi collettivi che lasciano scorrere quasi incessantemente immagini di guerra, di distruzione e sofferenza, senza mai riuscire a placarsi. Il corpo dell’artista dà “voce” a un tormento inconfessato anche nella toccante serie Cri silencieux (2016) dove il potere del suo grido silenzioso, nel centro della Piazza dei Martiri di Beirut, spinge la narrazione a un livello percettivo in forte tensione, capace di rendere palpabile l’emozione umana.
In occasione dell’inaugurazione, la galleria ospiterà la performance Sans Titre (Afrique), che Halida Boughriet ha realizzato anche al Centre Pompidou nel 2014. Un componimento sonoro realizzato dalla stessa artista sulle note di Il Crepuscolo degli Dei, La marcia funebre di Sigfrido di Wagner, accompagneranno la ballerina Olga Totukhova, che danzerà su un tappeto che riprende la mappa dell’Africa, e in particolar modo, le “zone calde” del continente, ovvero i luoghi in cui sono tutt’ora in atto guerre e conflitti.
NOTE BIOGRAFICHE
Halida Boughriet è un’artista franco-algerina, nata a Lens (Francia) nel 1980. Attualmente vive e lavora a Choisy le Roi, Francia. Si è diplomata all’Ecole Nationale Supérieure des Beaux Arts di Parigi e nel 2005 ha partecipato a un programma di scambio con SVA di New York, nella sezione Cinema.
Al suo attivo ha numerose mostre in importanti Musei internazionali come il Centre Pompidou, il MAC/VAL Museum (Musée d’Art contemporain du Val de Marne) e l’Institut du Monde Arabe in Francia; il Museum of Modern Art di Algeri; l’Hood Museum negli USA; il Düsseldorf Kunst Museum e l’Haus der Kulturen der Welt, in Germania. Nel 2014 è stata selezionata per la Dak’Art Biennale e nel 2015 ha partecipato al Rencontres Internationales Paris/Berlin/Madrid.