Vincenzo Pennacchi – La crepa
Vincenzo Pennacchi è intervenuto su diverse pareti del Piano Zero, nella zona che ospita la Collezione Collicola e alcune opere della Collezione 2.0. Qui si sono concentrati i danni superficiali del terremoto avvenuto il 24 agosto ad Amatrice.
Comunicato stampa
Mario Desiati, dal romanzo “Candore” (Einaudi)
..Il maestro giapponese di Cinzia raccoglieva gli elaborati e li riportava la settimana successiva dopo averli cotti al forno. Insegnò come dipingerli, poi quando qualcuno di questi si crepava insegnò una tecnica chiamata KINTSUGI, che voleva dire “riparare con l’oro”. Oro non ce n’era e dunque si usava la semplice colla. Sulla crepa che tagliava il vaso con un pennino si colorava la ferita di giallo. Ne usciva una vena dorata che dava l’illusione del metallo pregiato. Il valore non sta nel nascondere la perfezione smarrita, ma nel celebrare l’arte della cucitura…
Gianluca Marziani
Mi piace definirlo un intervento MOMENTANEAMENTE PERMANENTE, una cucitura pittorica che connette la memoria archeologica del nostro Paese con la sorpresa della soluzione inaspettata, geniale, catartica. Dopo un terremoto che ha colpito il museo in forma superficiale ma evidente, ho deciso che il danno doveva trasformarsi in un valore costruttivo. Volevo che le crepe d’intonaco diventassero il terreno di una cucitura iconografica e morale, una sutura viva nel corpo della consunzione naturale.
Vincenzo Pennacchi è intervenuto su diverse pareti del Piano Zero, nella zona che ospita la Collezione Collicola e alcune opere della Collezione 2.0. Qui si sono concentrati i danni superficiali del terremoto avvenuto il 24 agosto ad Amatrice. Piccole porzioni d’intonaco saltato, alcune crepe superficiali, minimi dissesti che pesavano, e tuttora pesano, sulla pulizia estetica del candore museale. Da qui serviva ripartire con una riflessione non solo risolutiva ma, soprattutto, elaborativa, capace di spostare l’analisi sullo “spunto d’azione” e non sul semplice “problema”. Da qui l’idea di coinvolgere un artista che ben conoscesse il museo con le sue molteplici anime visuali, affidandogli i danni come fossero scrigni preziosi da custodire con azioni minime ad alta circolazione biologica.
Francis Scott Fitzgerald, dal romanzo “Il crollo”
“Ascolta. Mettiamo che non ci sia alcuna crepa in te… Mettiamo che sia un crepaccio del Gran Canyon.”
“La crepa è in me!” dissi eroicamente.
Gianluca Marziani
Guardavo le crepe e i buchi nel muro pensando che la nostra povera Italia ha una pelle ormai invecchiata, un aspetto rugoso di solchi profondi; ci muoviamo in un gigantesco patrimonio senile, spesso ripulito con nuovi "abiti" di facciata ma con una biologia che è quella dei dinosauri architettonici. Osservare le crepe d'intonaco dentro un palazzo settecentesco mi ha acceso una luce simpaticamente utile: era il momento di invitare un artista per farlo lavorare dentro quei tagli murali, per stravolgere l'idea del danno in qualcosa d’improvviso e sublime, evidenziando le qualità sublimanti della creazione artistica.
Vincenzo Pennacchi
Come sempre, ogni qualvolta Gianluca mi propone un progetto, mi capita di riflettere su come il tema proposto arrivi in un momento preciso, con una sincronia che ha dell’incredibile. Il ricucire le crepe è esattamente la metafora della mia vita in questo momento: da un difetto nasce un effetto, le ferite si trasformano in luminose tracce di rinascita. Il luogo in cui avviene quest’operazione è per me un Tempio nel quale entrare in silenzio e pregare in ginocchio. E’ uno stato mentale di grande privilegio potersi rapportare con la storia dell’Arte che da sempre mi ha più affascinato, quella Contemporanea. Significa procedere con la massima discrezione per non disturbare le opere e, nello stesso tempo, incidere con la mia poetica, in modo minimale ma deciso. E’ una sfida affascinante, di sicuro la prova più impegnativa sinora affrontata.
Mario Desiati
…Il valore non sta nel nascondere la perfezione smarrita, ma nel celebrare l’arte della cucitura…
I tagli e i buchi di Fontana, i cretti e le bruciature di Burri, le fenditure di Leoncillo sulla ceramica, le bende drammaturgiche di Scarpitta… la grande arte italiana del Dopoguerra attraversa il sangue e la ferita, respira gli odori acri della mortalità, abbraccia le rovine con una cura e un amore di rara bellezza. Non credo sia casuale se le ferite murali si siano concentrate tra le opere storiche della nostra collezione, in un dialogo crudele ma vivo con Leoncillo, Pascali, Burri, Bendini, Calder… i muri si confermano corpi con una loro pelle, una muscolatura, uno scheletro: sono superfici che registrano temperature, movimenti, azioni fisiche, assumendo l’aspetto che gli eventi imprimono alle materie con cui è fatto il mondo.