Guy Ben-Ner – Escape Artists
Mostra personale
Comunicato stampa
“Io non so com’è la realtà. La realtà sfugge, mente continuamente. Quando crediamo di averla raggiunta, la situazione è già un’altra. Io diffido sempre di ciò che vedo, di ciò che un’immagine ci mostra, perché immagino quello che c’è al di là; e quello che c’è dietro a un’immagine non si sa. Il fotografo di ‘Blow Up’ non è un filosofo, vuole andare a vedere più da vicino, ma gli succede che, ingrandendo, l’oggetto stesso si scompone e sparisce” disse Michelangelo Antonioni a proposito di “Blow Up” (1966), un film sull’impossibilità strutturale di tangenza tra realtà e rappresentazione del reale.
Robert Flaherty disse a proposito del suo film “Nanook of the North” (1922): “Il mio desiderio di girare ‘Nanuk l’eschimese’ deriva da ciò che provavo nei confronti di questo popolo, dell’ammirazione che avevo per loro, volevo raccontare agli altri ciò che sapevo di loro”. Di fatto “Nanook of the North”, il primo documentarario lungometraggio prodotto dal cinema americano, fu finanziato a scopo pubblicitario dai pellicciai francesi Réveillon Frères; doveva svolgersi tra gli eschimesi dell’arcipelago artico canadese, ma fu girato alla stessa latitudine di Edinburgo. La vita quotidiana di Nanuk è adattata non del tutto onestamente alle aspettative di un’opera di fiction made in USA degli anni ‘20.
Il film di Guy Ben-Ner “Escape Artists” (2016), come il film mito di Flaherty, è costruito su eventi autentici e su materiale preso dalla realtà: lo sfondo reale del nuovo film di Ben ner sono i corsi di cinema e video che tiene una volta a settimana da due anni, nel centro di detenzione per richiedenti asilo sudanesi e eritrei di Holot, nel deserto del Negev, nel sud di Israele, non lontano da Gaza. Israele essendo firmatario della Convenzione ONU sullo status di rifugiati non può espatriare persone che nel loro paese rischiano la vita, pertanto li confina nel limbo legale di Holot. Il riconoscimento dello status di rifugiato, per coloro che vivono a Holot è un’utopia, considerando che Israele ha la media più bassa di rifugiati del mondo occidentale. I richiedenti asilo sudanesi e eritrei possono uscire, ma devono rispondere a tre chiamate al giorno; alle 10 in punto a Holot c’è il coprifuoco. Israele rifiuta di riconoscerli come rifugiati politici, possono stare nel deserto, dove c’è solo un autobus che passa ogni 5 minuti. L’attivista Anael – Adda afferma che lo Stato di Israele mira a portare i richiedenti asilo a decidere di allontanarsi volontariamente dal paese. Talvolta i richiedenti asilo vengono trasferiti coattamente in paesi africani limitrofi come il Ghana e il Ruanda.
Guy Ben-Ner in “Escape Artists”, attraverso la rappresentazione dei suoi studenti e di se stesso mentre tiene lezione di cinema, si dirige verso un’ approccio linguistico alla “Blow Up”, l’artista finisce per ontologizzare la simulazione facendo penetrare le vite dei rifugiati di Holot, come una sorta di effetto collaterale della didattica esemplificativa e comparativa sul tema cinematografico.
In questo senso l’arte, il mondo della finzione, non pare incompatibile con l’attivismo, l’arte in “Escape Artists” non vuole arrendersi alla sua finzionalità. A differenza del suo precedente film “Soundtrack” (2013), in cui non è la realtà, ma il sentimento di realtà della rappresentazione che ha la meglio, in “Escape Artists” è la realtà che usa intenzionalmente la rappresentazione per emergere. Guy Ben-Ner è un artista impegnato che abbraccia consapevolmente la bugia creativa, mentre spiega ai richiedenti asilo di Holot i segreti dei montaggi paralleli e del taglio invisibile mostra meta-cinematograficamente allo spettatore che “una porta”, un confine, “ rappresenta sempre un taglio nella realtà”. Ben-Ner organizza nel modo che gli è proprio “il montaggio critico degli eventi” (così Eco definì il cinema di Antonioni), rimbalzandoci addosso una realtà cruda attraverso l’umorismo e l’ironia che contraddistingue la sua arte, al di là di ogni intento straniante.
Se Antonioni in Blow Up aveva scelto la difformità cromatica per sottolineare la distanza tra la vita a colori e le foto in bianco e nero di Hemmings, Ben-Ner in “Escape Artists” per enfatizzare la differenza tra la sua condizione e quella gli abitanti di Holot, dove si reca a insegnare cinema e video, sceglie la metafora del viaggio in auto con Joshua, uno dei suoi studenti. Quando è inquadrato l’artista che parla, l’auto procede in avanti, quando parla Joshua, il paesaggio scorre all’indietro, mentre il dialogo procede così:
“Dimmi Joshua, non pensi che
ci sia qualcosa che non va in questo viaggio in macchina?
Penso di sì, stai guidando in retromarcia
Non sto andando indietro, tu stai andando indietro
Sto andando avanti
Che giorno è per te?
No… Oggi è il 7
Si il 7 luglio
Non per me. E’ il 14
Non penso che siamo nella stessa auto comunque
Come può essere
Non so
Stai guidando sbagliato”.
Mentre il Thomas di “Blow Up” alla fine guarda la partita di tennis senza racchette dei mimi, seguendo con lo sguardo la traiettoria di una pallina inesistente, Guy Ben-Ner in “Escape Artists”, tenta di suggerire a Nanook l’eschimese dentro al suo computer, che il suono inesistente di quel film muto dell’infanzia del cinema, non si trova nel grammofono, ma nel disco. Esclamando “Il suono è qui, il suono è qui”, colpisce il vetro dello schermo con il dito nel punto in cui appare il disco.
“Escape Artists” finisce sull’inquadratura di Nanuk l’eschimese che sembra ridere della canzone di Alma Cogan, che non gli appartiene per niente, ma che funziona benissimo come colonna sonora per il finale di “Escape Artists” di Guy Ben-Ner: “Never do a tango with an eskimo – No, no, no….”.
La galleria è aperta dal martedì al sabato, dalle 15.00 alle 19.30.
La mostra chiuderà 3 Marzo 2017
GUY BEN-NER
Escape Artists
Opening December 20th 2016, h 6.30 p.m.
Press release
“I do not know what is reality. Reality runs away and lies continuously. When we think we have caught it, the situation has already changed. I always distrust what I see, what a picture shows, because I imagine what is beyond; and what is behind an image is unknown. The photographer in `Blow Up' is not a philosopher, he wants to get a closer look, but he eventually realizes that, when magnified, an object gets decomposed and disappear." This is what Michelangelo Antonioni said on his film "Blow Up” (1966), a movie on the structural impossibility of any affinity between reality and its representation.
About his movie “Nanook of the North” (1922) Robert Flaherty: “My desire to shoot `Nanook of the North' came from what I was feeling about those people, from the admiration I had for them, I wanted to tell the others what I knew about them”. As a matter of fact, “Nanook of the North”, the first full length documentary film produced by the American film industry, was financed by French furriers Réveillon Frères with advertising purposes and, even though it was supposed to be taken among the Eskimos inhabiting the Canadian Arctic archipelago, it was actually shot at the same latitude of Edinburgh. Nanook daily life is clumsy adapted to the expectations raised by a USA fictional work of the Twenties. Guy Ben-Ner movie “Escape Artists” (2016), like Flaherty legendary movie, is based on actual events and material taken from reality. Its setting is the film and video course held by Ben- Ner once a week since two years inside the detainment center for Sudanese and Eritreans asylum seekers in Holot, in the desert of the Negev, in the south of Israel, not far away from Gaza. As Israel adheres to the UN Convention Relating to the Status of Refugees and cannot expel people who would risk their life in their homeland, it detains them in the legal limbo of Holot. For those who live in Holot, the acknowledgment of refugee status sounds like utopia, due to the fact that Israel has the lowest refugees amount in the western world. Sudanese and Eritreans asylum seekers can exit, but they must answer to three calls a day; at 10 pm in Holot there is the curfew. Israel refuses to recognize them as political refugees, they can only stay in the desert, where there is only one bus that transists every 5 minutes. The activist Anael - Adda asserts that the State of Israel aims to let the asylum seekers decide to leave the country voluntary. Sometimes the asylum seekers are forcely moved to some bordering African countries such as Ghana and Ruanda.
In "Escape Artist", through the representation of his students and himself as a film teacher, Guy Ben-Ner moves towards a “Blow Up”-like linguistic approach and ends up making the simulation ontological by embedding the story of Holot refugees, like some sort of collateral effect of his teaching, by exemples and comparisons, film as a subject. Hence the world of fiction does not seem like unrelated to activism, art does not want to let pretense take over.
Unlike his previous movie “Soundtrack” (2013), where what is predominant is not reality, but the feel of reality given by representation, in “Escape Artists” is reality that intentionally uses representation in order to emerge. Guy Ben-Ner is an engaged artist who is aware of embracing an inventive lie, when he explains to Holot deportees the secrets of parallel montage and invisible cut, he shows to the viewer in meta-cinematographic way, that “a door”, a border, “always represents a cut in reality”. Ben-Ner organizes in his own style the “critical montage of events” (so Umberto Eco defined Antonioni's cinema) by returning to us a tough reality through the humor and the irony that makes his work unique beyond any estranging effect.
If in “Blow Up” Antonioni uses to play on the chromatic difference to emphasize the distance between Hemmings color life and black and white photographs, in “Escape Artists”, Ben-Ner uses the metaphor of a car travel with Joshua, one of his students, to emphasize the difference between his condition and the inhabitants of Holot where goes to teach film and video: when the artist is speaking, he is framed and the car proceeds forward, when Joshua is speaking, the landscape behind him runs backwards and the dialogue goes like this:
“tell me Joshua, don't you think
something is wrong with this car ride?
yeah I think so, you are going back
you're riding back
I'm not riding back you are riding back
I'm going forward
what date do you have?
no… today the date's the 7th
the 7th?
yes. 7th of July
not for me. It’s the 14th
I don't think we are in the same car anyhow
how it can be
I don't know
you are riding wrong”.
While in “Blow Up” Thomas eventually watches the tennis game played without racquets by two mimes and follows with his gaze the trajectory of a non-existent ball, in “Escape Artists” Guy Ben-Ner attempts to tell Nanook the Eskimo inside his laptop that the non-existent sound of the silent film from the childhood of cinema, is not inside the gramophone, but in the disc. Exclaiming “the sound it is here, the sound it is here”, he taps on the screen with his finger right where the disc is shown.
“Escape Artists” ends with a shooting where Nanook the Eskimo seems to laugh about Alma Cogan's song, that does not belong to him at all, but that indeed works perfectly as soundtrack of Ben-Ner’s movie: “Never do a tango with an Eskimo - Not, not, not….”.
The gallery is open from Tuesday to Saturday, 3.00 p.m.- 7.30 p.m.
The exhibition is open until March 3, 2017