Il fumetto schiavo della tv
La televisione snobba il fumetto. Colpa del mainstream. Ma la comunicazione di massa passa attraverso la cultura. E quella italiana è fin troppo condizionata dal vecchio tubo catodico. Mentre l'oggetto diventa design, il fumetto arranca. E se ogni citazione porta all'orgasmo, c'è chi fa arte nell'ombra.
Chi l’ha detto che la televisione è morta? Quella che una volta era una grossa scatola parlante ora si è trasformata in un oggetto di design. Se poi la superficie è più grande e lo spessore infinitesimale, allora tanto meglio. Insomma, la tv è ancora il re mida della comunicazione. Genera gli idoli, muove i mercati, condiziona le opinioni. Crea e distrugge ogni cosa con estrema facilità. Se poi pensiamo ai fumetti, beh, il confronto non regge. Da una parte c’è l’elefante, dall’altra la formica. Una differenza che non si misura né con le onde lunghe né con la capacità di diffusione del medium. In ballo c’è ben altro: cioè il retaggio di una cultura nazional-popolare che colpisce anche l’élite.
Ogni volta che in tv si parla di fumetto, il popolo dei lettori di questa nicchia che è la narrativa illustrata – così matura ma così poco considerata – scoppia in una inesorabile ovazione fatta di post, tweet e commenti su Facebook. Perché un Benigni che cita Andrea Pazienza in prima serata su Rai1, per di più in una trasmissione – quella di Fiorello – capace di registrare share da record, è perfino capace di far scoppiare il finimondo. Ma solo fra i lettori di fumetto. Poi non importa, come ha fatto notare lo storico Matteo Stefanelli dopo segnalazioni su Twitter e conseguenti ricerche, che la citazione non sia da attribuire a Paz bensì a Che Guevara. Il popolo del web esulta ugualmente perché il fumetto è stato sdoganato in televisione.
Nonostante questo, sembra che la tv sia piuttosto distratta. Tant’è che durante l’ultima edizione di Lucca Comics & Games, primo evento di settore sul territorio italiano (155mila presenze nel 2011) e secondo in Europa solo al Festival International de la Bande Dessinée d’Angoulême, anche il direttore di XL di Repubblica ha fatto sentire il suo sfogo. “In Francia il fumetto è una realtà consolidata, non è considerata una cosa da ragazzini. È considerata cultura”, spiega il direttore Luca Valtorta. “La gerontocrazia al potere in Italia continua a considerare il fumetto qualcosa che è riservato solo ai bambini. Non riesco a capire i motivi che causano il disinteresse della tv. È come se qui ci fosse un distacco dalla realtà. Non a caso la gente scappa dalla televisione e fugge su internet”. Se non fosse che “quella” gente è sempre e comunque figlia della cultura televisiva. Gente che ricerca il prodotto multimediale perché si è abituata a quel tipo di fruizione.
E anche quando il fumetto è trasposto in altri prodotti diffusi sul mainstream, quasi mai si ottiene il ritorno sperato. È il caso della raccolta di storie illustrate Nessuno mi farà del male, scritte e disegnate da Giacomo Monti (ora acquistabile in ristampa in una versione ampliata e migliorata nella confezionatura) da cui Gipi ha tratto il film (così tremendamente diverso dalle storie a fumetti) L’ultimo terrestre.
“Dopo essere apparso in tv, Gipi ha venduto cifre stratosferiche”, spiega Monti. Del resto, a seguito della sua presenza su La7, in una trasmissione condotta da Daria Bignardi, pare sia passato da 3mila a 50mile copie. “Ecco, questa è la realtà culturale italiana. È ridicolo pensare che il fumetto si possa vendere solo così. Se partecipassi al ‘Grande Fratello’, essendo anche un autore di fumetti, sono convinto che venderei migliaia di copie. Significa che qualcosa non va. Su questo dobbiamo interrogarci”. E il problema non è solo la preparazione culturale del pubblico o del lettore. Categorie che spesso si sovrappongono. Perché anche quando ci si rivolge a un pubblico d’élite, sul piano delle vendite non c’è riscontro. Prendiamo ad esempio il festival di Internazionale a Ferrara. Lì è stato proiettato L’ultimo terrestre. C’era Gipi, e con lui una platea colta, preparata e forse di nicchia. Magari una platea di gente che legge pure i fumetti. Eppure? “Eppure”, racconta Monti, “su duecento copie disponibili del fumetto ne sono state vendute solo dodici”.
“Perché un libro di fumetti che in Italia vende mille copie, in Francia ne vende trentamila? Eppure anche là ci sono il ‘Grande Fratello’ e i cinepanettoni”, continua Monti. Forse per la stessa ragione che tiene il fumetto lontano dalle gallerie. Fatta eccezione per quei pochi casi (dalla Miomao di Perugia alla D406 di Modena, che nel fine settimana ha ospitato una mostra di Marino Neri), il fumetto continua a essere escluso. Anzi, continua a essere considerato un’arte minore. Eppure Gipi, gli autori del gruppo Canicola e molti altri sono grandi narratori capaci di raccontare e illustrare contemporaneamente. Due talenti per un solo uomo. Pardon, artista.
Gianluca Testa
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati