L’era della stupidità, parte III

Il terzo episodio della “saga” sull’era della stupidità firmata Christian Caliandro ha preso una forma particolare. Non propriamente un articolo, ma una raccolta di citazioni, estratti, intuizioni. Con qualche commento. A metà tra uno zibaldone e una collezione di tweet.

“If you want a picture of the future, imagine a boot stamping on a human face—forever.” (George Orwell, 1984, 1948)

“Di essere indignato non me ne frega nulla perché io sono incazzato, e anche i miei amici.” (Valerio, 28 anni)

“Lo stipendio Rai e la coscienza inquieta? Ma sono lussi che la mia generazione non si è mai potuta permettere!”
(Carlo Emilio Gadda in: Alberto  Arbasino, In questo Stato, 1978)

“Gli italiani sono i campioni del mondo della creatività.”
(centinaia di giornalisti e politici italiani)

“La speranza di cui parlate è una trappola: è una brutta parola, non si deve usare. La speranza è una trappola inventata dai padroni; la speranza è di quelli che ti dicono:  ‘state buoni, state zitti, pregate, avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell’aldilà. Perciò adesso state buoni’. Così dice quello:  ‘State buoni, tornate a casa. Sì, siete dei precari, ma tanto tra due o tre mesi vi riassumiamo ancora, vi daremo il posto, eccetera. Sì sì, state buoni’. Vanno a casa e stanno tutti buoni.  ‘Abbiate speranza’. Mai avere la speranza! La speranza è una trappola, una cosa infame, inventata da chi comanda.”
(Mario Monicelli a Raiperunanotte, 26 marzo 2010)

“- Sto fermo. Io più me movo più sto fermo. – E questo è un problema? – In finale no. In fondo è da fermo che se vedono le cose.”
(il Dandi, Romanzo criminale-La serie 2, seconda puntata)

“So that the art and practic part of life / must be the mistress to this theoric”
(William Shakespeare, Enrico V, 1599)

2 carlo emilio gadda L’era della stupidità, parte III

Carlo Emilio Gadda

In questo preciso momento, le trasformazioni che riguardano l’immaginario collettivo italiano sono superficiali, sconnesse rispetto al livello profondo: esse oscurano ancora ciò che succede nel reale. E mai come in questo momento è necessario interpretare, raccontare e ricostruire il reale: anche perché, molto probabilmente in Italia siamo più “attrezzati”, rispetto ad altri, a superare la dissociazione dalla realtà.

“Cosa avrebbe fatto Rossellini giovane il giorno del rapimento di Moro?”
(Alberto Arbasino, In questo Stato, 1978)

“Tutto ciò che si è dimenticato rimane negli oscuri sogni del passato, e minaccia costantemente di riemergere.”
(Todd Haynes, Velvet Goldmine, 1998)

“L’umiliazione determina un’interdizione del racconto. Voler comunque raccontare non può non tenere conto di questo vincolo riconoscendo di trovarsi dentro una contraddizione in termini.
Perché se l’umiliazione è un sentimento che nasce da un contesto preciso (da una ragione sociale, per esempio), nell’esprimersi riduce però questo contesto al minimo o lo espelle tout court: le cause che hanno determinato l’umiliazione si dissolvono, resta soltanto il senso di un dolore originario. Laddove l’umiliazione disgrega il mondo, le narrazioni che vogliono raccontarla si incaricano di ricostruirlo, di ricontestualizzare, di ripristinare l’esistenza di una storia. Dovendo inventare una forma hanno bisogno di restituire pelle allo scheletro (lana alla cute), struttura al nucleo, ogni narrazione in un modo diverso, proteggendo questo nucleo con un differente spessore epidermico. Provando a dire l’indicibile, cercando di dare parole a ciò che rende muti.”
(Giorgio Vasta, La narrativa dell’umiliazione)


“Ora l’Italia notturna si affacciava veramente sull’orlo buio della storia.”
(Lucio Villari, Notturno italiano, 2011)

“Il nostro è un Paese postumo. Non in diretta: è postumo.”
(Giuseppe Genna, Dies Irae, 2006)

Per questo l’arte contemporanea non ha un grande bisogno di creare distopie: l’arte oggi è una distopia. È diventata un sistema concentrazionario, completamente avvolto su se stesso. Come il manicomio di Ashecliffe, o il Reparto di Carpenter. La dissociazione è talmente acuta, patologica, da escludere completamente il mondo – quello vero. L’unica realtà conoscibile e fruibile, di cui si fa esperienza, diventa quella del “sistema”. La crisi sta mutando questo scenario: improvvisamente e inevitabilmente, tutto ciò che fino a un attimo fa era cool adesso sembra ed è obsoleto, marcescente, inadatto. Perché ritrae un’epoca già estinta, e non rappresenta più il sistema di valori così come si sta (ri)configurando: serietà, concretezza, affidabilità, responsabilità, dignità, generosità. La faticosa ricomposizione tra arte e realtà potrebbe consistere principalmente nel rivolgersi alla narrazione come interpretazione del mondo. Finzionalizzazione della e dalla zona oscura del reale.

1 1984 L’era della stupidità, parte III

1984

“Ma quante colpe all’inadeguata preparazione e all’inopinata fatalità. Come per le tremende disgrazie quando piove. Ah, sognare di non essere i Malavoglia, essendo per l’appunto i Malavoglia.”
(Alberto Arbasino, In questo Stato, 1978)

Christian Caliandro

LEGGI ANCHE:
L’era della stupidità parte I
L’era della stupidità parte II

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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