Höller e Pirri: luci e ombre di fine anno
L’una è al Macro, ed è opera di un artista belga che vive in Svezia. L’altra è alla Gnam, ed è opera di un calabrese “naturalizzato” romano. Due lavori - una installazione e una “visione” - che dicono più di quanto parrebbe a un primo sguardo. A farle parlare ci pensa Ludovico Pratesi.
In questi giorni di fine anno, funestati da notizie non certo rassicuranti su un futuro che appare ogni giorno più buio e incerto, l’arte contemporanea porta nuove luci per illuminare due dei musei più importanti della capitale, il MACRO e la GNAM.
Nel primo girano a velocità ridotta le giostre proposte da Carsten Höller (Bruxelles, 1961; vive a Stoccolma) per l’installazione Double Carrousel with Zollner Stripes, con la quale ha vinto l’Enel Contemporanea Award, completato da un video che mostra le giostre occupate da coppie di gemelli di varie generazioni, per accentuare ulteriormente il senso di spaesamento provocato dalle strisce diagonali bianche e nere che corrono su tutte le pareti della sala.
Un’opera che contiene molti riferimenti al cinema, strizzando l’occhio ai capolavori di Fellini e più in generale al Neorealismo, che in più occasioni ha raccontato la sottile malinconia dei luna park, luoghi di allegria forzata ma non sempre autentica. Ma anche a un film come Lo Zoo di Venere (1985) di Peter Greenaway, che aveva come protagonisti due gemelli siamesi, Oliver e Oswald Deuce: un’incredibile e surreale vicenda che trasforma l’ossessione del doppio in un viaggio psichedelico tra esseri umani e animali, mantenendo come punto di riferimento le tele di Vermeer, che costituiscono la fissazione di un altro personaggio del film, il chirurgo Van Hoyten.
Alla GNAM, invece, il pavimento della Sala delle Colonne è interamente occupato da Passi, l’installazione di Alfredo Pirri (Cosenza, 1957; vive a Roma) che costituisce il pezzo forte del riallestimento dell’intero museo, voluto da Maria Vittoria Marini Clarelli. Un pavimento di lastre di specchi rotti sul quale Pirri ha posizionato una serie di sculture dell’Ottocento appoggiate direttamente al suolo senza basi, in un dialogo immaginario con lo spazio, la vita, la morte e l’infinito. Perno dell’intero lavoro è la maschera funeraria di Antonio Canova, collocata al centro di un cubo di cristallo, che è anche l’unica presenza maschile (le altre sculture raffigurano donne e bambini), un memento mori intenso e inquietante.
Entrambe le installazioni hanno a che fare con l’attivazione di una vertigine dello sguardo di derivazione barocca, ma con risultati diversi. Carsten Höller si affida a dispositivi che creano connessioni rese fragili dalla collocazione all’interno di un museo, dove la partecipazione del pubblico avviene giocoforza “a scartamento ridotto” per l’impossibilità delle giostre di girare a pieno regime, mentre l’opera di Alfredo Pirri si inserisce a pieno titolo in una rilettura del rapporto tra l’opera, il museo e il pubblico. Qui la spettacolarità non è imposta da situazioni che lo spettatore può solo osservare senza parteciparvi direttamente, come il video dei gemelli, ma si carica di letture concettuali e percettive puntuali e significative, sottolineate dalla presenza della luce naturale e dal dialogo tra le sculture, sospese in una dimensione liquida ma simbolicamente consapevole, tra memoria del passato e rilettura del presente.
Non una semplice installazione, ma una vera e propria visione, caratteristica tutta italiana che da secoli non smette di colpire l’immaginario per lasciarvi un segno indelebile. Una capacità che unisce coraggio e progettualità con risultati interessanti e sorprendenti, che l’arte italiana delle ultime generazioni dovrebbe recuperare per occupare il posto che merita sulla scena internazionale.
Ludovico Pratesi
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