Alla ricerca della generazione K
Che contorni ha la generazione K? E chi ne fa parte? Qualche riflessione sul pubblico dei millenials, ancora poco considerati dalle istituzioni culturali.
Non so se tra le generazioni X e Y di cui avevo parlato (ma era il 2011) nel libro Creatività cultura creazione di valore. Incanto economy me ne sia sfuggita qualcuna, di generazione. Fatto sta che oggi l’economista inglese Noreena Herz ha coniato la nuova classe, per i millenials, di generazione K. Kappa come Katniss Everdeen, l’eroina del film-cult Hunger Games, pronta a fronteggiare ingiustizie e paure nel nome della sopravvivenza. Ai tempi della generazione X c’erano i Survivors (corsi e ricorsi storici).
Katniss rappresenta i ragazzi tra i 14 e i 21 anni (incredibile come ancora questa resti un’età perimetrale fin dai tempi in cui si diventava maggiorenni, ma ancora antropologi, sociologi ed economisti non classificavano le generazioni con le consonanti di anglofono suono).
K, 3 T, 3P… MA NON È ALGEBRA
La vita dei millenials è divisa fra le 3 T (tecnologia terrorismo timore) e le 3 P (partecipazione protezione privacy). Parole che non possono lasciare indifferenti le imprese culturali di fronte a questi giovani, che sarebbe davvero ingiusto ridurre a una massa technology addicted.
Come saperli ascoltare? Come dare loro risposte? Mentre abbondano infatti programmi baby-kids-family friendly, sono rare le istituzioni museali, teatrali, musicali che si rivolgono alla generazione K. Perché è difficile, indubbiamente, rapportarsi con loro.
SELFIE MA NON SELFISH
In primis non credo ci siano istituzioni che nel loro staff abbiano, o collaborino, con un millenials. I decoder culturali dipendono fortemente anche dall’età, e non solo dalle competenze, di chi si occupa di comunicazione e di linguaggi. Le imprese culturali italiane vivono ancora in una dimensione che non ha fatto propri i nuovi decoder generazionali.
Non a caso è stato salutato con sollievo l’ingresso sui social degli Uffizi, mentre sono ancora molte le realtà che risponderebbero “chi era costui?” di fronte a parole come “snapchat“. Senza rendersi conto che il loro futuro dipende significativamente dalla capacità di comprendere i K, che sono selfie ma non necessariamente selfish, timorosi sul loro futuro (come dargli torto) ma anche partecipativi, tecnologici e al contempo attenti alla loro privacy.
IL FUTURO DEI MILLENIALS
Non sono più sufficienti gli spot che invocano la cultura come strumento fondamentale per la lotta al terrorismo (a proposito delle 3 T dei millenials). È necessario che la cultura (si legga: le istituzioni culturali) si metta in ascolto umile e critico della generazione K e con loro provi concretamente a costruire il futuro.
Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #33
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