Quanto vale un’opera d’arte? L’esperimento di Jonas Lund
Ormai sappiamo tutti cosa sono i big data. Ma l’analisi si può applicare a ogni ambito umano? Anche al valore delle opere d’arte? Un artista ci ha provato, e questi sono i risultati.
I BIG DATA E L’ARTE
Gli strumenti tecnologici, entrati ormai in maniera permanente nella vita quotidiana, sono anche una fonte di dati che rivela molto sulle nostre abitudini e preferenze. Chiunque utilizzi smartphone, computer, web e social network ha ormai capito perfettamente che i comportamenti messi in atto con o attraverso quegli strumenti sono facilmente tracciabili e vengono sistematicamente registrati.
Analizzando e misurando questo ammasso grezzo di informazioni, che abbiamo imparato a chiamare big data, possono essere estrapolati modelli di comportamento e profili di gruppi o singoli utenti. Ma siamo sicuri che analisi quantitative di questo genere siano applicabili in qualsiasi ambito di ricerca?
QUANTO VALE UN’OPERA
Rivisitando il problema classico dell’attribuzione di valore (artistico ed economico) alle opere d’arte contemporanea si potrebbe dire: in che modo è possibile attribuire un valore alle opere d’arte se questo valore non può essere quantificato prima che un’opera venga venduta? Su questo genere di tematiche lavora ormai da qualche anno Jonas Lund, riflettendo su dinamiche, contraddizioni e paradossi generati dal tentativo di analizzare e applicare modalità algoritmiche di valutazione al mondo dell’arte, al suo mercato e alla produzione artistica stessa.
L’ultimo lavoro che si aggiunge a questa ricerca si intitola Fair Warning ed è un’opera web-based – commissionata da Whitechapel Gallery e Phillips – che consiste in una serie di 300 rapidissimi test. I quesiti variano da domande banali a test comparativi e hanno l’obiettivo di misurare gusti e preferenze personali del pubblico dell’arte contemporanea.
IL FALLIMENTO DELL’ALGORITMO
Sposando incondizionatamente una modalità di ricerca e valutazione basata unicamente su una strategia quantitativa, Fair Warning mette in discussione, fino a ridicolizzarla, l’idea stessa che qualsiasi cosa, e perfino i gusti e preferenze in fatto di arte, possano essere efficacemente misurati e processati da algoritmi intelligenti.
Matteo Cremonesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #33
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati