Il vintage e il valore della fotografia
Se si decide di comprare un dipinto si è sempre più tranquilli. Un dipinto è un dipinto, e poi non è duplicabile, ma una fotografia? Oddio, ma quante ce ne saranno in giro? Ma qual è il valore reale di una fotografia? Tutte paure che colgono sempre chi si avvicina al mercato della fotografia.
Sapere di possedere qualcosa che nessun altro ha, trasmette una primitiva sicurezza e di conseguenza fa pensare che quell’oggetto unico debba certamente avere un valore. Certe sicurezze oggi purtroppo vacillano e chi ha arredato casa con dipinti decorativi dell’Ottocento di fascia medio-bassa capirà che, per quanto unici, rivenderli adesso sia praticamente impossibile. Nell’arte, quindi, più che all’unicità o alla duplicabilità, vale la pena porre l’attenzione alla qualità.
Restando il mercato dell’arte pur sempre un mercato, legato quindi alla domanda e all’offerta (e – non dimentichiamolo – anche alle mode e al gusto), va ricordato che la quantità, se la richiesta non è in grado di assorbirla, può determinare un abbassamento del valore. Ed è esattamente quello che succede nel mercato della fotografia.
COS’È VINTAGE QUANDO SI PARLA DI FOTOGRAFIA
La stampa fotografica vintage è la stampa realizzata dall’autore, coeva allo scatto: tanto per capirci, il negativo di Philippe Halsman del 1952 stampato nel 1952-53 da sempre è valutato a un maggior prezzo rispetto alla stessa stampa realizzata da Adams nel 1970. Infatti, oltre a un aspetto di qualità dei materiali (le carte fotografiche degli Anni Cinquanta avevano caratteristiche differenti da quelle degli Anni Settanta), sul prezzo finale influisce il fatto che il vintage è garanzia di rarità. I fotografi, infatti, fino all’affermarsi del mercato collezionistico negli Anni Ottanta, stampavano giusto una o due copie di uno scatto, che potevano servire o per una mostra o per essere inviate a una redazione.
Nessun fotografo accumulava stampe nei cassetti (peraltro all’epoca costose!) pensando che un domani le avrebbe rivendute a caro prezzo. Succedeva piuttosto che, se uno scatto acquistava notorietà, veniva richiesto successivamente al fotografo, che provvedeva a stamparne altre copie, ragion per cui gli scatti successivi hanno un prezzo più basso dei vintage.
LE SCIOCCHEZZE DELLO STAMPATORE ON DEMAND
Per il fotografo il valore del proprio lavoro era il negativo. Questo tipo di pensiero, per come si è poi evoluto il mercato, ha tirato brutti scherzi ai fotografi più sprovveduti.
Ricordo un fotografo italiano quanto mai sconsolato che mi raccontava di aver regalato a un collezionista americano le sue migliori stampe vintage, pensando che tanto possedeva i negativi, quindi le avrebbe potute sempre ristampare e rivendere, anzi più belle e più nuove di quelle, che erano ormai vecchiotte. Inutile dire che, al secondo collezionista che lasciava il suo studio senza aver acquistato nulla, aveva capito di aver commesso una sciocchezza.
Silvia Berselli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #33
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