Alle radici del Barocco. Rubens in mostra a Milano
Palazzo Reale, Milano – fino al 26 febbraio 2017. Una grande rassegna omaggia il maestro fiammingo, vero e proprio punto di riferimento per la stagione del Barocco romano e per le generazioni dei suoi successori.
Si potrebbe definire una lectio magistralis, la mostra Pietro Paolo Rubens e la nascita del Barocco, curata da Anna Lo Bianco, il cui preludio è rintracciabile nel numero monografico di Art Dossier datato 1992 e consacrato a Pietro da Cortona. Tratteggiando l’ambiente artistico romano di inizio Seicento, la curatrice della mostra meneghina scriveva infatti: “Se il ruolo della tecnica è determinante per la pittura barocca, l’artista che ne manifesta la padronanza totale è Rubens”, per poi passare ad ammirare la carica innovativa dei dipinti realizzati per l’altare maggiore della chiesa della Vallicella a Roma, cui guarderà tutta la “generazione dei futuri artisti barocchi, tra cui Bernini e Pietro da Cortona”.
Di fatto, il merito principale dell’esposizione è quello di ricostruire un tassello importante della storia dell’arte, fornendoci un’idea completa della creatività di Rubens, da cui prenderà le mosse la grande stagione del Barocco romano. Si potrebbero attribuire svariati sottotitoli alla mostra, ma non sarebbero sufficienti a decodificare la ricchezza del linguaggio rubensiano: dall’influenza esercitata dai maestri del Rinascimento italiano ai suoi rapporti con l’arte antica; dalla cospicua eredità artistica alla portata internazionale della sua arte, così maestosa da elevarlo allo stato di pittore cosmopolita.
L’ANTICO COME PUNTO DI PARTENZA
Seguendo una scansione tematica articolata in quattro sezioni, la rassegna ruota attorno al soggiorno di Rubens in Italia, che inizia il 9 giugno 1600, quando l’artista ha 22 anni, e termina nel 1608. Sono otto anni intensissimi, che lasceranno una traccia indelebile nella sua pittura.
Entrando Nel mondo di Rubens (questo il titolo scelto per la prima parte della mostra), l’iniziale serie di ritratti, in cui l’interesse dell’artista si rivolge verso l’espressione degli affetti e la resa dell’intensità espressiva, lascia subito spazio a interpretazioni nuove del mondo classico col Seneca morente del Prado, che si trasforma nel martirio di un santo cristiano, alla copia su tela della Gemma Tiberiana, in cui il cammeo viene reinterpretato in modo del tutto nuovo e personale. A riprova del fatto che non vi è mai una citazione filologica dell’antico: esso è il punto di partenza per una creatività fervida. Lo dimostrano i quadri a soggetto sacro, il cui massimo esempio è rintracciabile nella commissione più importante ricevuta dal pittore in Italia. Sono le tre pale d’altare realizzate per la Chiesa di Santa Maria in Vallicella, dove i santi sono raffigurati come eroi del mondo antico dietro i quali si celano ritratti di soldati, imperatori e matrone romane.
Altro esempio eclatante è il Cristo risorto appartenente alla collezione di Ferdinando de’ Medici, liberamente tratto dal Torso del Belvedere.
LA PITTURA SACRA
Ma se per Rubens disegnare una scultura antica equivale a tradurre sulla carta l’impressione di una forma e di un movimento – come dimostrano i suoi disegni del Laocoonte o del Seneca morente della collezione Borghese – nel reinventare la pittura sacra, alla sintesi operata sull’antico il maestro fiammingo associa le suggestioni, fra gli altri, di Tintoretto o Caravaggio. La Notte di Correggio è il punto di partenza per l’Adorazione dei Pastori, attraverso la ripresa della luce notturna e della gloria degli angeli volanti, cui si oppone la furia del pennello nel movimento impetuoso dei personaggi.
Il fascino che quest’opera esercita sugli artisti più giovani è travolgente, come appare dal confronto con la tela di Pietro da Cortona presente in mostra. Così come suggestive sono le assonanze del volto della Maddalena in estasi con le sante “pagane” del Bernini: dalla beata Ludovica Albertoni alla Santa Teresa della Cappella Cornaro.
MITOLOGIA E NATURA MORTA
Nell’ultima sezione, intitolata La forza del mito, alle tele mitologiche sono affiancati altri esemplari di arte antica, dalle versioni della Susanna e i vecchioni, la cui posa ricalca quella dello Spinario e dell’Afrodite al bagno con Eros, fino alla mirabile tela Le figlie di Cecrope scoprono Erittonio infante, ove la figura di Gea viene rappresentata da Rubens nella scultura della fontana sulla parte destra del quadro, la cui iconografia sembrerebbe ispirarsi a una statuetta di Artemide Efesia del II secolo d. C.
Alla raffigurazione sublime della natura morta di conchiglie si associano la bellezza e la carnalità dei personaggi femminili, uniti tra loro seguendo quel principio di composizione cosmica, in cui si va verso l’annullamento di ogni punto di riferimento attraverso una concezione dinamica dello spazio. Lezione che si rivelerà fondamentale per Lanfranco e Luca Giordano, quest’ultimo attratto dalle scene turbinose e pervase da un movimento inarrestabile, dense di impulsi drammatici.
A concludere la mostra è infatti l’Allegoria della pace del maestro napoletano, diretto discendente de Le conseguenze della guerra di Rubens. In quest’opera il gusto per l’universale fa sì che il dettaglio perda importanza in favore di quella visione d’insieme tipica del Barocco. Non ci sarebbero stati, probabilmente, gli affreschi delle grandi volte barocche senza la forza creativa di Rubens, le sue ricche e fantasiose composizioni, le innovative soluzioni tecniche, la grande abilità nell’uso della biacca e del colore mescolato alle vernici. Senza Rubens il Seicento romano sarebbe stato sicuramente diverso.
Massimiliano Simone
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