Due artisti della ceramica in mostra a Milano
Officine Saffi, Milano – fino al 10 febbraio 2017. Due artisti lontani per generazione, provenienza geografica e formazione culturale si incontrano negli spazi meneghini Saffi a Milano (fino al 10 febbraio) grazie alla complessità del loro approccio scultoreo a una materia docile e, al tempo stesso, conflittuale come la ceramica.
Il maestro italiano Carlo Zauli (Faenza, 1926-2002) e il norvegese Torbjørn Kvasbø (Bergen, 1953), internazionalmente assai noto, sono i protagonisti della mostra, curata da Flaminio Gualdoni, che porta un titolo evocativo, tratto dall’omonima raccolta poetica di Luisa Spaziani, Geometrie del disordine, calzante rispetto alle opere esposte (una ventina in tutto) stilisticamente divergenti eppur intimamente affini nel loro controllato, ma pulsante – talvolta perfino concitato – esito formale.
UNA MATERIA COMPLESSA
La “terra” non fa sconti. Chi la scelga come strumento privilegiato del suo linguaggio espressivo non si sottrarrà ai richiami magmatici, al dramma del farsi forma, imposto ogni volta dall’atto della creazione. Creazione che implica da parte dell’artefice l’indagine sull’essenza della materia, sulle sue potenzialità plastiche e cromatiche, nonché la verifica del suo trasformarsi: sia a seguito delle spinte che scaturiscono dall’interno sia a seguito delle forze impresse dall’esterno, attraverso procedimenti che spesso mutano in corso d’opera, assecondando necessità e imprevisti derivanti dalle reazioni della materia stessa.
DUE APPROCCI COMPLEMENTARI
Del faentino – sospeso fra stile informale, ambiguità metamorfica di forme classiche (per esempio, quelle del vaso, tipiche della produzione ceramica d’uso strumentale) o astrazioni simbolico-geometriche – sono esposte opere degli Anni Sessanta, Settanta e Ottanta dai titoli eloquenti: Primario lavico, Zolla, Genesi, Vaso sconvolto, Metamorfosi di un vaso, Cubo esploso… Egli stesso scriveva a proposito della terra: “… Cerco di cogliere, il più acutamente possibile, le forme naturali che al suo interno si celano, che respirano e intendono venire in superficie…”. Del norvegese, che inizialmente si è posto davanti alla Natura, e ai materiali che ne scaturiscono, con atteggiamento estatico, ma poi, nel tempo, ha applicato a essa griglie progettuali e ne ha riscritto principi e ritmi, praticando una sorta di panica immersione nelle sue viscere, appaiono in mostra le imponenti sculture Stack a segmenti tubolari, che si aggrumano nello spazio dispiegando le loro accese cromie. Risalgono al 2009-2010, quindi appartengono anch’esse, come nel caso delle opere di Zauli, alla fase della maturità del loro autore.
Alessandra Quattordio
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