Arte e attivismo pedagogico. Dal centro al sud Italia
Che rapporto c’è fra attivismo pedagogico, processo artistico e potere delle istituzioni in questo momento in Italia? In quale direzione sta evolvendo la situazione, in particolare nel centro-sud del nostro Paese? Questa inchiesta è insieme una ricognizione del presente e uno stimolo a pensare il futuro.
Uno dei punti chiave della pratica artistica contemporanea è l’urgenza della sfida a un certo conformismo culturale imposto in vario modo dalle istituzioni nei campi dell’arte e dell’educazione. La stessa urgenza ha spinto nel tempo pedagoghi, artisti e collettivi a fondare – in diverse parti del mondo e senza alcun accordo precostituito – comunità pedagogiche spontanee, secondo principi radicalmente innovativi. Non è un caso. Ma se ciò che guida gli artisti nella loro ricerca è un’urgenza, condivisa anche dai mediatori culturali, qual è il rapporto esistente tra attivismo pedagogico, processo artistico e potere delle istituzioni in questo momento in Italia? E cosa resta ancora da fare?
Le opere e i progetti dei collettivi incontrati da ALAgroup condividono tali domande e mettono in pratica un’idea di educazione che vive nell’incontro con gli altri. “Non si tratta solo di rompere in modo radicale e necessario con un sistema di poteri e di saperi, ma di restituire a donne e uomini il gusto di inventare, creare e sperimentare la propria vita partecipando alla sfida della vivibilità del pianeta in questo tempo”: Iván Illich scriveva queste parole negli Anni Settanta, ma la loro attualità le rende necessarie e utili per affrontare le sfide del mondo globalizzato.
SALENTO RULEZ
Per cercare di fornire delle risposte, anche se parziali, a questi interrogativi, ALAgroup ha scelto la pratica ricostruttiva di curatela attiva e ad agosto ha visitato alcune realtà autonome che sperimentano una rinnovata idea di bene comune. Nella prima tappa del viaggio abbiamo visitato l’ex Asilo Filangieri a Napoli, un microuniverso civico che si dichiara alternativo ai poteri istituzionali. Siamo poi partiti alla volta del Salento, dove abbiamo incontrato Alessandra Pomarico, fondatrice delle FHU – Free Home University, dove le sessioni di formazione sono tenute da artisti per lo più internazionali. Alessandra ci ha mostrato la Ammirato Culture House, che ospita le FHU e propone attività di lettura, di ascolto, di teatro, con accesso libero e gratuito. Ci ha poi presentato un membro del collettivo russo Chto Delat?, che dieci anni fa ha fondato a San Pietroburgo la School for Engaged Art, e infine Carla Rangel, del collettivo di architetti e designer ConstructLab, che avvia processi generativi di comunità, trasformando le architetture in spazi di azione partecipata. Le sessioni della FHU riuniscono artisti che nel corso di alcune settimane offrono al gruppo metodologie di lavoro e di ricerca non convenzionali, in cui sono abolite le distanze fra studenti e insegnanti. Molti partecipanti alla FHU hanno poi proseguito le sperimentazioni in proprio e le hanno trasformate in progetti a lungo termine.
Un esempio significativo è il gruppo dei Cafausici (Emilio Fantin, Luigi Negro, Giancarlo Norese, Cesare Pietroiusti e Luigi Presicce) che, in linea con il loro interesse sul tema della morte, ha coinvolto la classe della prima FHU nella Festa dei vivi che riflettono sulla morte, invitandola a una passeggiata notturna sulle spiagge di Otranto, ciascuno in compagnia dei propri morti. A pochi chilometri da Lecce, a San Cesario, i Cafausici hanno recentemente creato la Fondazione Lac O Le Mon in un’antica masseria da loro acquistata, che è diventata un luogo di formazione e sperimentazione artistica, ma anche di vita quotidiana, in cui l’aggregazione domestica favorisce il confronto intellettuale. Laura Perrone, coordinatrice delle attività, ci ha guidato nella visita, raccontando le prime esperienze abitative. Il desiderio dei Cafausici è di rendere la casa autonoma e autosufficiente, senza forzare i limiti naturali di un ambiente casalingo. Le stanze sono state poco caratterizzate e ogni artista vive lo spazio a modo proprio, rispettando i ritmi che l’edificio stesso suggerisce.
AGRICOLTURA E FERROVIE
Ci siamo poi spostati ancora più a sud, per visitare il Parco Comune dei Frutti Minori, un progetto coordinato dall’artista Luigi Coppola nell’area rurale di Castiglione d’Otranto. Mentre la prima iniziativa era stata svolta da Luigi con un gruppo di FHU, le attività successive sono proseguite insieme alla locale Casa delle AgricUlture Tullia e Gino. Castiglione è diventato così un luogo di incontro e sperimentazione di pratiche agricole innovative, che comprendono semine collettive, azioni e lezioni in piazza con genetisti e agricoltori radicali. La rieducazione della piccola comunità comporta la coltivazione della terra, in modo consapevole e partecipato, contro i sistemi di produzione intensivi e di sfruttamento dei semi, delle piante e della stessa vita umana. La pratica agricola, l’alimentazione, assumono così il valore di beni comuni di cui prendersi cura collettivamente. Inizialmente le azioni svolte con i volontari di Castiglione puntavano alla riqualificazione dei terreni comunali ridotti a discariche. Per lungo tempo le operazioni di pulizia sono risultate vane, fino a quando, per scuotere la coscienza dei castiglionesi, Luigi e i volontari non hanno deciso di usare i rifiuti per realizzare un’installazione nella piazza principale del paese: così, una domenica mattina all’uscita dalla messa, gli abitanti hanno trovato un labirinto di oggetti ed elettrodomestici da loro stessi abbandonati nelle discariche abusive.
La stazione di Gagliano Leuca, termine della rete ferroviaria italiana, è stata l’ultima tappa nel Salento. Il curatore Paolo Mele e l’artista Luca Coclite hanno dato vita all’associazione Lastation (Last – Station), con ambienti adibiti a sale espositive e stanze in cui ospitare artisti in residenza. Sul tetto della minuscola stazione si è svolto lo sleep concert, concerto live di musica elettronica sperimentale di Gabriele Panico, durato da mezzanotte sino all’alba.
DALLA BASILICATA A ROMA
Siamo poi risaliti verso la Basilicata, dove abbiamo partecipato alla presentazione del volume A Cielo Aperto (Postmedia Books, 2016) che racconta il progetto nato nel 2008 a Latronico, a cura di Bianco-Valente e Pasquale Campanella, grazie al sostegno dell’Associazione Vincenzo De Luca. Gli artisti ospitati in residenza presentano le proprie ricerche, condividono con gli abitanti la creazione artistica nel corso di laboratori e incontri; l’intero processo può durare anche più di un anno. In quell’occasione abbiamo conosciuto alcuni membri più giovani dell’associazione, che ci hanno raccontato di come, anno dopo anno, hanno costruito e portato in processione nel paese le loro cénte (caratteristici contenitori votivi tradizionali di tutta la Basilicata), confidato segreti, scattato fotografie, girato video, stringendo con gli artisti in residenza relazioni personali e reinterpretando in tal modo il concetto di partecipazione.
L’ultima tappa del nostro viaggio è stata Corniolo, nel Mugello, dove Aria Spinelli e Maria Pecchioli di Radical Intention – collettivo nato nel 2009 – organizzano ogni anno per una settimana, il Decompression Camp, durante il quale un gruppo di partecipanti segue varie attività sotto la direzione di un artista ospite.
Rientrati a Roma, abbiamo infine incontrato Lorenzo Romito degli Stalker, collettivo di architetti e urbanisti attivo da vent’anni.
DISOBBEDIENZA ARTISTICA
Questa ricerca sul campo ci ha insegnato quanto sia importante, citando le parole di Goffredo Fofi, “strappare ai teorici il monopolio della discussione, per riportarlo nelle mani dei militanti – siano essi violenti, non violenti o possibilisti. […] Il nodo della questione è tutta qui. Ieri come oggi” (L’elogio della disobbedienza civile). È possibile allora pensare a forme di disobbedienza artistica, oltre a quelle di disobbedienza civile? Come si può ben comprendere, il campo è aperto a molte sollecitazioni e riflessioni, ed è evidente il rischio che le nuove sperimentazioni aggregative corrono: essere inglobate nel sistema neoliberale, dotato di capacità metamorfiche. Un esempio di tale rischio sono le formule della sharing economy, che alcuni specialisti affermano siano già diventate la nuova forma di capitalismo.
Le esperienze artistiche e formative sin qui elencate sembrano coraggiosamente tornare a pratiche militanti sul campo, ma senza quel coinvolgimento ideologico che aveva caratterizzato le lotte di autogestione degli Anni Settanta. Se l’arte è tornata a essere un campo di battaglia, non può però limitarsi a “happening collettivi o a forme di autoperfezionamento di gruppo vicine al New Age o di narcisismo collettivo autoconsolatorie” (Fofi) ma deve concretizzarsi in un’alternativa reale, e precisamente in un superamento dello stato di controllo che il potere esercita nel campo della cultura.
Le realtà di autogestione incontrate condividono sicuramente tali valori estetici ed etici, in quanto aree potenziali di libertà e crescita culturale, all’interno di un contesto di rinnovata empatia umana e intellettuale. E sottolineano anche il ruolo formativo dell’arte, di fronte all’urgenza di un’educazione alla cittadinanza, in linea con l’affermazione di Gilles Deleuze, secondo la quale “un’opera deve far scaturire problemi e questioni in cui veniamo presi, piuttosto che dare risposte” (Che cos’è l’atto di creazione?). In tal senso, le opere d’arte non offrono mai soluzioni, ma inventano forme di resistenza che si radicano nella vita di chi vi partecipa. La pratica dell’ospitalità, in tutte le sue forme – il dono, lo scambio, la quotidianità condivisa, la memoria del passato, il dialogo, la gratuità, l’accoglienza –, innesca un circolo virtuoso che si allarga a spirale e rompe gli schemi abitudinari, producendo nel tempo trasformazioni reali.
ALAGroup
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #34
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati