Robert Capa in Italia 1943-44
Mostra fotografica dedicata al grande fotoreporter ungherese con 78 fotografie in bianco e nero che raccontano gli anni della seconda guerra mondiale.
Comunicato stampa
La mostra dedicata al grande fotoreporter di guerra, con immagini che raccontano gli anni della seconda guerra mondiale in Italia, è organizzata e prodotta dalla Fratelli Alinari Fondazione per la Storia della Fotografia in collaborazione con il Museo Nazionale Ungherese di Budapest, con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Parma, il patrocinio della Regione Emilia Romagna ed il supporto del Lions Club Parma Maria Luigia.
L’esposizione è curata da Beatrix Lengyel e promossa dal Ministero delle Risorse Umane d’Ungheria, dal Consolato Onorario Ungherese di Bologna, e dall’Associazione Culturale Italia-Ungheria e presenta 78 immagini in bianco e nero scattate da Capa in Italia nel biennio 1943 – 44.
Considerato da alcuni il padre del fotogiornalismo, da altri colui che al fotogiornalismo ha dato una nuova veste e una nuova direzione, Robert Capa (Budapest, 1913 – Thái Binh, Vietnam, 1954) pur non essendo un soldato, visse la maggior parte della sua vita sui campi di battaglia, vicino alla scena, spesso al dolore, a documentare i fatti: “se le tue fotografie non sono all’altezza, non eri abbastanza vicino”, ha confessato più volte.
In oltre vent’anni di attività ha seguito i cinque maggiori conflitti mondiali: la guerra civile spagnola, la guerra sino-giapponese, la seconda guerra mondiale, la guerra araboisraeliana del 1948 e la prima guerra d’Indocina.
A settanta anni di distanza, la mostra racconta lo sbarco degli Alleati in Italia con una selezione di fotografie provenienti dalla serie Robert Capa Master Selection III conservata a Budapest e acquisita dal Museo Nazionale Ungherese tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. La serie, composta da 937 fotografie scattate da Capa in 23 paesi di 4 continenti, è una delle tre Master Selection realizzate da Cornell, fratello di Robert Capa, anch’egli fotografo, e da Richard Whelan, biografo di Capa, all’inizio degli anni Novanta e oggi conservate a New York, Tokyo e Budapest. Le serie, identiche tra loro e denominate Master Selection I, II e III, provengono dalla collezione dell’International Center of Photography di New York, dove è conservata l’eredità di Capa.
Esiliato dall’Ungheria nel 1931, Robert Capa inizia la sua attività di fotoreporter a Berlino e diventa famoso per le sue fotografie scattate durante la guerra civile spagnola tra il 1936 il 1939. Quando arriva in Italia come corrispondente di guerra, ritrae la vita dei soldati e dei civili, dallo sbarco in Sicilia fino ad Anzio: un viaggio fotografico, con scatti che vanno dal luglio 1943 al febbraio 1944 per rivelare, con un’umanità priva di retorica, le tante facce della guerra spingendosi fin dentro il cuore del conflitto.
Le immagini colpiscono ancora oggi per la loro immediatezza e per l’empatia che scatenano in chi le guarda. Lo spiega perfettamente lo scrittore John Steinbeck in occasione della pubblicazione commemorativa di alcune fotografie di Robert Capa: “Capa sapeva cosa cercare e cosa farne dopo averlo trovato. Sapeva, ad esempio, che non si può ritrarre la guerra, perché è soprattutto un’emozione. Ma lui è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino”.
Ed è così che Capa racconta la resa di Palermo, la posta centrale di Napoli distrutta da una bomba ad orologeria o il funerale delle giovanissime vittime delle famose Quattro Giornate di Napoli. E ancora, vicino a Montecassino, la gente che fugge dalle montagne dove impazzano i combattimenti e i soldati alleati accolti a Monreale dalla gente o in perlustrazione in campi opachi di fumo, fermo immagine di una guerra dove cercano – nelle brevi pause – anche il recupero di brandelli di umanità.
Settantotto fotografie per mostrare una guerra fatta di gente comune, di piccoli paesi uguali in tutto il mondo ridotti in macerie, di soldati e civili, vittime di una stessa strage. L’obiettivo di Robert Capa tratta tutti con la stessa solidarietà, fermando la paura, l’attesa, l’attimo prima dello sparo, il riposo, la speranza.
Così Ernest Hemingway, nel ricordare la scomparsa, descrive il fotografo: “ Ѐ stato un buon amico e un grande e coraggiosissimo fotografo. Era talmente vivo che uno deve mettercela tutta per pensarlo morto”.