Fra gli ultimi atti della presidenza Obama – ne parlavamo anche su Artribune – ci fu la pace artistica tra USA e Russia, con la firma di un accordo che riapre gli scambi di opere d’arte, fermi dal 2011. Nonostante da molti anni le due superpotenze si facciano guerra a colpi di espulsioni e restituzioni, l’arte contemporanea non si ferma, anzi crea ponti per andare oltre il gelo politico: e il sistema artistico russo si dimostra capace di stare al passo con il resto del mondo. A confermarlo è uno degli eventi più importanti dell’arte contemporanea russa: il new media art festival CYFEST, nato a San Pietroburgo su iniziativa del Cyland Media Art Lab, giunto quest’anno alla decima edizione. Per l’importante anniversario il festival ha esteso i suoi confini, organizzando anteprime a New York, Bogotà, Città del Messico, Krasnoyarsk e Mosca, per culminare infine nella grande kermesse a San Pietroburgo, che accoglierà oltre 100 artisti provenienti da 20 paesi.
5 GIORNI DI INAUGURAZIONI
L’articolato programma si sviluppa a San Pietroburgo in 5 intensi giorni di inaugurazioni, mostre, performances e conferenze dislocate in diversi spazi della città. Si inizia il 25 gennaio – fino al 7 febbraio – con due delle principali mostre: Interpretations al Research Museum at the Russian Academy of Arts, a cura di Elena Gubanova, e Participation Effect, curata da Anna Frants e Varvara Egorova al St. Petersburg Stieglitz State Academy of Art and Design. Si prosegue con un fitto programma di conferenze e lezioni allo Youth Education Center at the State Hermitage, numerose performance di sound art e infine due mostre alla Luda Gallery e al Taiga Creative Space.
ARTISTI DA TUTTO IL MONDO
Tra gli ospiti d’onore del festival, personaggi come l’artista Irina Nakhova (che ha rappresentato la Russia alla Biennale di Venezia del 2015), Phill Niblock (compositore minimalista di New York e direttore di Experimental Intermedia Foundation), William Latham (artista inglese che lavora nell’intersezione tra computer grafica e genetica) e gli artisti italiani Fabrizio Plessi e Donato Piccolo (appena rientrato da una personale a Shanghai, un’altra all’Havana e da una residenza a Berlino con il Goethe Institut). Poi la statunitense Susan Kleinberg (più volte ospite di Palazzo Fortuny e della Biennale di Venezia), la belga Alexandra Dementieva (già presente in festival importanti come Transmediale 11, FILE 2015 e Digital Life – Romaeuropa) e il sud coreano Lee Lee Nam (definito il “reinventore dei capolavori” per la reinterpretazione che fa dei grandi classici).
– Isabella Indolfi
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