Bernardo Bellotto. Un maestro “moderno” a Milano
Gallerie d'Italia, Milano – fino al 5 marzo 2017. Una mostra maestosa come il suo oggetto: i dipinti del grande vedutista veneziano in un percorso che racconta i passaggi della sua evoluzione e ne evidenzia i sottintesi intellettuali. E poi il confronto con lo zio e maestro Canaletto, il punto sulle recenti attribuzioni.
La maestosità è il primo tratto che salta all’occhio davanti ai quadri di Bernardo Bellotto (Venezia, 1721 – Varsavia, 1780). Ma subito dopo ci si concentra sulla modernità della sua pittura: un’intera visione del mondo è sottesa ai suoi paesaggi, una riflessione che si è tentati di definire “concettuale”, se non fosse un anacronismo. La mostra alle Gallerie d’Italia valorizza la maestosità, con un allestimento che concede la giusta distanza per osservare i quadri e li raggruppa in sale dove si rafforzano a vicenda. Ma mette anche in luce la costruzione intellettuale, ripercorrendo le tappe della carriera di Bellotto e confrontandola con quella del Canaletto (Venezia, 1697-1768), zio e maestro. Cento le opere esposte (83 di Bellotto e 14 di Canaletto, più tre incisioni di Berardi). Il confronto tra i due è serrato nella prima parte della mostra, per poi diventare “a campione”.
DA ALLIEVO A MAESTRO
Nella prima sezione, quella veneziana, si parte con Bellotto “assistente” del già celebre zio e si giunge a un Bellotto autonomo. Più luminoso e relativamente più idealizzante Canaletto, più “contrastato” Bellotto, che fa maggior ricorso alla linea disegnata e delinea figure umane più aleatorie e perciò più caratterizzate: con la consapevolezza della differenziazione tra i due si esce dalla prima fase e si comincia a seguire Bellotto nei suoi viaggi. L’impianto diventa più solido, la verosimiglianza aumenta senza scadere nell’illusionismo: ci si avvicina sempre più a un’arte “moderna”, per usare un altro anacronismo.
Il primo viaggio è a Firenze. Qui colpisce come l’idealizzazione dovuta alla formula del capriccio sfoci in Bellotto in tratti di realismo e credibilità (il “realismo” è ovviamente ancor più marcato nel caso delle vedute). Seguono poi i quadri su Milano, sulla Lombardia, su Torino e Verona. Fino alla sezione “Un cronista d’avanguardia”, dove si evidenzia la volontà di testimonianza – per esempio nei confronti delle guerre – che caratterizza l’artista nella fase matura.
SEPARAZIONE E AUTONOMIA
Nel frattempo era avvenuta la “separazione”: la mostra la individua nel momento in cui Canaletto parte per Londra (1746) e Bellotto per Dresda (1747). L’idealizzazione di Canaletto si esprime con una luce soffusa, mentre Bellotto alterna alla luce i toni oscuri, ombre che potrebbero essere il simbolo degli avvenimenti storici cui allude.
La mostra è anche l’occasione per fare il punto sulle recenti attribuzioni. A lungo la paternità di alcune opere è stata attribuita a Canaletto invece che a Bellotto, a causa dell’iniziale rapporto subalterno e della fama che Canaletto aveva già raggiunto quando il nipote-allievo si stava affacciando sulla scena. Dopo la visita, rimane comunque l’impressione della modernità di Bellotto, che si esprime con l’intreccio fra criteri della committenza e invenzione personale, con un uso personale del rapporto tra disegno e colore, con un rapporto autonomo nei confronti dei canoni pittorici.
Stefano Castelli
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