M’horó – Flags & Imaginary Skyscrapers

Informazioni Evento

Luogo
LATTUADA GALLERY
via Senato 15 20121, Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
05/02/2017

ore 17

Artisti
M'horó
Curatori
Vittorio Sgarbi, Antonio Falbo
Generi
arte contemporanea, personale

Mostra personale di M’horó, “Flags & Imaginary Skyscrapers” con circa trenta lavori inediti selezionati per l’evento.

Comunicato stampa

Ancora senza volto e senza identità l'artista M'horó: maschio, femmina, nero, bianco, asiatico o eschimese? In ogni caso riesce ancora a far parlare di sé. È divenuto in breve tempo uno degli artisti più acclamati del momento. A contenderselo sono già gallerie italiane e straniere. L'unica certezza sono solo le date delle mostre in calendario. Il prossimo 5 febbraio 2017 alle ore 17,00, presso le sale espositive Arte Centro Lattuada in via dell'Annunciata 31 a Milano, Vittorio Sgarbi presenterà la personale di M'horó, “Flags & Imaginary Skyscrapers” con circa trenta lavori inediti selezionati per l'evento.

Le scelte coraggiose di artista si fondono sulla capacità e sulla determinazione di rifiutare la visione di un mondo preconfezionato. Occorrerebbe conoscere più da vicino M’horò per tentare di scoprire la sua più vera ed autentica personalità. Ed è proprio questo il dilemma. Chi è realmente l’artista? Sino ad oggi non si vuole far identificare. Egli delega il suo critico, Antonio Falbo curatore della mostra, a parlare al suo posto. “Prima di me deve esprimersi il mio lavoro; come accadeva nel passato, l’artista non firmava quasi mai le proprie opere, era compito del fruitore giudicare. Anche nei salons ufficiali francesi dell’Ottocento le opere venivano esposte senza firma, quindi selezionate da un’apposita giuria. Purtroppo oggi accade il contrario, non si giudica più la qualità ma l'apparenza...".

Come è stato definito da Vittorio Sgarbi: “scultore dalla pittura e pittore dalla scultura; c’è un’unità di visione che propone una personalità molto riconoscibile ma non riconosciuta, senza carta d’identità, poiché le opere parlano da sole e non c’è bisogno che qualcuno parli per loro. Quando in un’opera si riconosce chiaramente lo stile, vuol dire che l’artista c’è! Le opere di M’horò sono coerenti (vale solo per alcuni grandi artisti), queste opere d’arte parlano per l’artista e non viceversa. Un grande artista che raggiunge una condizione importante viene riconosciuto senza il cognome ma solo con il suo nome: vedi Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Caravaggio.”

Una personalità riflessiva quella di M'horò, quasi introversa, umile, disposta più ad ascoltare che a parlare, è uno spirito tormentato alla ricerca di qualcosa che sembra non trovare mai. Si potrebbero definire un divenire prorompente che si rivela in queste sue creature corrose dal tempo e dall'usura, un degrado soprattutto interiore che si alimenta giorno per giorno con gli stati d’animo fatti di pensieri, di corrosive visioni.

Il nostro sistema visivo è particolarmente attratto dalle sue opere, dalle forme e dal dinamismo che esse creano; l’alternanza dei pieni e dei vuoti generano, pertanto, la percezione del movimento illusorio, introducono alla fusione tra architettura e scultura con straordinarie torsioni e fantastiche evoluzioni strutturali che potrebbero simulare nuove vie e ispirazioni. M'horò esprime il legame inscindibile con le teorie Warburghiane, interpretato attraverso un articolato e colto percorso iconografico, che ci aiuta a comprendere il suo pensiero più che la realtà oggettiva.

Le sue “metamorfosi”, ottenute da materiali inutili, logorate dal tempo e dall'abbandono, sono una presenza netta, anche se tipica in ogni opera d’arte, come la vita biologica che sta al mutamento incessante della realtà oggettiva, intensa espressione di un'innegabile energia interiore.
È proprio nel suo modo di produrre intense forme mosse da interiore tensione dinamica, che a mio giudizio si scopre il suo genio. Non è solo compendio di un manuale tecnico derivato dall'esperienza di bottega, ma presenta riflessioni scientifiche innovative e inedite.

Egli progetta la sua trama artistica nell’infinito, imprimendo con immediatezza e forza i segni del modellato, senza alcun pentimento o esitazione.
Tali segni estrosi, decisamente istintivi, rivelano una tale sicurezza nella manipolazione dei metalli come fosse duttile argilla capace di provocare sgomento nell’osservatore abituale.
La tematica viene semplificata conferendo alle composizioni un aspetto vagamente simbolista.
In talune parti il modellato appare appena accennato, e questa è una particolarità che induce l’osservatore ad interloquire con se stesso, vuole coinvolgerlo in armoniose stilizzazioni con clamore e tanta curiosità, lasciando il posto a meditazioni piuttosto profonde.

“Abbozzare con fuoco ed eseguire con flemma”, teorizzava Winckelmann ai suoi discepoli. Se si potesse spiare l’artista mentre lavora, si riuscirebbe forse a spiegare il tormento del suo modellato carico di umanità. Egli conferisce forza all’invisibile, al non esprimibile nel senso enunciato da Paul Klee: “Il ruolo dell’arte non è quello di riprodurre il visibile. È quello di renderlo visibile”.
Le mani, plasmano la materia per raggiungere un unico stato d’animo, sintesi di tutti i precedenti. Poi si compie il passaggio dalla mente alla realizzazione che si compie nell'impiego di materiali industriali più impensabili, rigorosamente riciclati.

Sembra di entrare in una dimensione dove si evidenziano forme ed elementi che consentono all’artista di evocare, come in un'anamnesi, il mondo esistenziale, attraverso un susseguirsi di fluidi movimenti. Queste opere riportano alla memoria un aspetto un po’ dimenticato dell’arte e cioè il momento della creazione, del concepimento, ma con materiali metallici inconsueti. Non sono neppure fusioni a cera persa, sono piuttosto masse inconsuete di metalli teneri che si lasciano "accarezzare" e flettere. Si assiste attoniti al susseguirsi continuo di sapienti alternanze di pieni e di vuoti, in contrasti di masse chiaroscurali, dove domina la narrazione ma senza nessun tono retorico.

Per M’horò le regole non devono costituire mai una barriera rigida che imprigiona l’artista, ma possono e devono essere utilizzate per sgombrare pregiudizi e condizionamenti.

Giuseppe Cubello