L’Italian Beauty di Mario Bellini. A Milano
La Triennale ospita un’ampia rassegna dedicata all’architetto milanese, esattamente trent’anni dopo la mostra al MoMA di New York. Ma il risultato delude le aspettative.
La Triennale di Milano dedica una grande mostra monografica a Mario Bellini (Milano, 1935), designer, architetto, fotografo, collezionista delle prime assolute e dei record. Suo è il primo personal computer da tavolo della storia – per Olivetti, 1965 –; suo il mangiadischi Pop, nel 1968, progenitore dell’iPod; sua anche la Divisumma 18 – ancora per Olivetti, nel 1973 –, la cui gomma morbida anticipò i touch screen odierni. Passando ai numeri, a partire dal 1978 Cassina ha venduto 700.000 sedie Cab, mentre il MoMA di New York ha accolto nelle sue collezioni ben 25 oggetti di Bellini che, nel frattempo, ha vinto 8 Compassi d’oro, il primo nel 1962. Come lui, nessuno.
UN’OCCASIONE COLTA SOLO A METÀ
Il curatore della mostra è Deyan Sudjic – attuale direttore del Design Museum di Londra, con la consulenza di Ermanno Ranzani per l’architettura e Marco Sammicheli per il design. Tuttavia è lo stesso Bellini che prende le redini del racconto, progettandone l’allestimento, come avvenne al MoMA nel 1987, dove prima di lui ebbero questo privilegio solo Charles e Ray Eames. L’abbondanza dei materiali esposti – estratti dai suoi archivi, messi a disposizione dalle aziende con cui collabora o realizzati ad hoc – rende la mostra milanese imperdibile. Eppure, resta un’occasione colta solo a metà. Nelle parole di Francesco Moschini, curatore del catalogo, l’universo belliniano è piuttosto un “multiverso disarticolato”, che il “maestro” estende e ridefinisce continuamente con “piacere compulsivo e dannunziano”. Purtroppo però la mostra, attingendo con grande disinvoltura da tanti tra gli spazi e i mondi paralleli di Bellini, conferma il timore che non tutti raggiungano le stesse vette di qualità altissima.
Il tempo ha solo aggiunto fascino a Donna Jordan, adagiata seminuda sulle morbidissime Bambole, nelle storiche immagini scattate da Oliviero Toscani per la campagna fotografica di B&B del 1972. E la Kar-a-sutra, dello stesso anno, rimane un’intuizione epocale, visione di una casa per sempre nomade e di un’automobile che diventa casa: “L’originale è perduta, ma presto ne costruiranno un nuovo esemplare!”, ha dichiarato fieramente Bellini. Al contrario, le riprese aeree, proiettate su colossali pareti-schermo, di architetture come il Centro Congressi di Villa Erba a Cernobbio (1986-1990) e la Fiera di Milano (1987-1997), non fanno che enfatizzare come, nel caso di Bellini, il successo del “passaggio dalla forma scultorea nel design alle forme che durano in architettura”, come ha affermato Sudjic, sia ancora tutto da dimostrare.
UN ALLESTIMENTO “URBANO”
In fondo, però, è proprio il progetto di allestimento a deludere di più. L’articolazione “urbana” delle sale della mostra in un Portale, una Galleria, una Piazza e quattro Stanze rimane una metafora vagamente pretestuosa; la dismisura degli spazi vuoti della Piazza contraddice l’intenzione di farne una “wunderkammer” immersiva, riducendola a un caleidoscopio un po’ spompo. L’uso insistito degli specchi e il trattamento total black di tutte le altre superfici orizzontali e verticali, poi, finisce per rimandare alle atmosfere pragmatiche, da contrattazione, di una fiera del mobile più che alla sensualità intrigante di un boudoir del design. Mario Bellini. Italian Beauty – Architettura, design e altro rivendica “la necessità e il ruolo eversivo della bellezza”. Concordiamo del tutto con la buona intenzione, ma abbiamo qualche riserva sul risultato finale.
Alessandro Benetti
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