Il futuro delle cose. The Institute of Things to Come a Torino
Curato da Ludovica Carbotta e Valerio Del Baglivo, il progetto The Institute of Things to Come è un “centro di ricerca temporaneo sul futuro” che, da oggi 9 febbraio a settembre, trova dimora presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. Abbiamo chiesto ai curatori di raccontare genesi e sviluppi dell’iniziativa.
Iniziamo dal principio: come è nato il progetto The Institute of Things to Come?
Inizialmente The Institute of Things to Come è nato dalla volontà comune di organizzare una scuola che prendesse in considerazione il ruolo dell’immaginazione nei processi cognitivi o, per dirla in altre parole, il valore della finzione nei processi di costruzione della nostra conoscenza.
Fin da subito abbiamo trovato nella Fondazione Sandretto Re Rebaudengo un partner ideale, in grado non solo di accogliere istanze artistiche così sperimentali, ma anche, grazie alla forte vocazione educativa portata avanti in più di venti anni di attività, di farsi promotore di un progetto che ospita, da febbraio a settembre, cinquantadue studenti internazionali.
Come si è evoluta l’idea?
Insieme alla Fondazione abbiamo poi sviluppato il progetto fino a renderlo più complesso: un ciclo di quattro mostre personali collegate a un programma di formazione e, in alcuni casi, alla produzione di performance.
È importante sottolineare inoltre come The Institute of Things to Come è realizzato con il sostegno della Compagnia di San Paolo nell’ambito del bando ORA! Linguaggi contemporanei produzioni innovative 2016.
Perché avete deciso di articolare questo “centro di ricerca temporaneo” con quattro mostre personali, e non con una collettiva?
The Institute of Things to Come è un progetto complesso che prevede anche il formato mostra. Per un anno occuperemo la project room della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo con un modello semplice: partire dalla presentazione di un’opera d’arte (o ciclo di opere) che rappresenta il fulcro centrale del progetto da cui intraprendere un programma speculativo (il workshop). A ogni opera o mostra corrisponde un workshop di quattro giorni con tredici partecipanti internazionali che sono stati selezionati tramite un’open call. Per questo motivo ci sembrava più adatto presentare i lavori degli artisti in progetti personali e non come collettiva.
Come lavoreranno gli artisti?
Ai quattro artisti invitati, Bedwyr Williams, Kapwani Kiwanga, Alicia Framis e il duo Hervè & Maillet, abbiamo chiesto di considerare due elementi: di valutare gli scenari immaginati nelle loro opere come dati di fatto per condurre le loro discussioni di classe e di concepire i workshop in collaborazione con altri specialisti al fine di avvalorare le loro teorie o speculazioni fittizie. Così l’artista Bedwyr Williams lavora con l’artista londinese Tai Shani; Kapwani Kiwanga con la curatrice e scrittrice libanese Mirene Arsanios; Alicia Framis con la curatrice di architettura Lilet Breddels; e il duo Hervè & Maillet con un etologo marino.
In base a quali criteri avete scelto gli artisti da coinvolgere?
Si tratta di artisti di cui abbiamo potuto vedere dal vivo le opere e che ci hanno ispirato nei nostri anni londinesi. Questa selezione ci consente di affrontare vari temi legati al futuro – la paura per l’invecchiamento, l’ossessione per la ricerca di luoghi di vita su altri pianeti. Bedwyr Williams ha lavorato nel suo ECHT sulla dissoluzione politico-sociale degli attuali modelli democratici in atto; Kapwani Kiwanga, con il suo ciclo di lavori Afrogalactica, affronta la questione postcoloniale reinventando la storia dei rapporti di forza tra Occidente e Africa; Alicia Framis, con il suo film Where did the future go?, affronta il tema delle esplorazioni spaziali; e il duo Hervè & Maillet, con il film The Waterway, affronta il tema della ricerca dell’immortalità umana.
C’è un linea comune con cui avete impostato il confronto con gli artisti all’interno di questo progetto o li avete lasciati liberi di creare un nuovo lavoro perché già eravate coscienti che la loro ricerca avrebbe comunque prodotto un risultato efficace per la mostra?
Nessun artista ha creato un nuovo lavoro per l’occasione, si tratta di lavori già esistenti. Tutti però hanno immaginato uno scenario futuro o futuribile. Inventare il futuro non si riduce a essere un semplice esercizio di stile, ma piuttosto un complesso sforzo di emancipazione, nel quale sono messi in campo processi di autorappresentazione e di critica dello status quo. Non si tratta di fare ipotesi per non trovarsi impreparati nell’immediato, ma piuttosto di immaginare, con un’attività di critica intellettuale, delle alternative al presente.
E per quanto riguarda i workshop?
Tornando al progetto, la produzione è stata effettuata per il workshop, e il dialogo con i singoli artisti si è infittito proprio a partire dalle modalità con cui avrebbero idealmente proseguito i propri lavori nell’ambito educativo. Con DEMONIO! DEMONIO! Bedwyr Williams e Tai Shani condurranno i partecipanti alla realizzazione di un film che vedrà i loro autoritratti demoniaci come protagonisti, prosecuzione di alcuni personaggi inventati da Williams nel suo film Echt; Kapwani Kiwanga e Mirene Arsanios, con il workshop Future Ruins, scriveranno una storia futura della città di Torino a partire da luoghi legati alla storia coloniale italiana; Alicia Framis e Lilet Breddels, partendo dalle ricerche di Framis sulla vita nello Spazio, condurranno un workshop sull’architettura sostenibile nello Spazio; e infine il duo Hervè & Maillet, in collaborazione con un etologo marino, affronteranno il mito di Atlantide e della vita sott’acqua.
Il “centro di ricerca” che sarà allestito tramite e durante le quattro mostre personali che lascito pensate potrà avere?
Con questa domanda ci stai chiedendo una previsione futura? Ci teniamo a ribadire come The Institute of Things to Come non abbia interesse a fare previsioni, che lasciamo volentieri ad altri campi disciplinari (come l’economia o la sociologia). Non si tratta di compiere un esercizio di stile, una forzatura d’immaginazione, quanto piuttosto di immaginare delle alternative. La domanda da porre allora crediamo debba essere: con che conseguenze questi atti di immaginazione mettono in crisi ciò che noi consideriamo reale?
Dario Moalli
http://theinstituteofthingstocome.com/it
www.fsrr.org
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati