La permanenza dell’effimero. Un saggio sulla città temporanea
Curato da Luca Reale, Federica Fava e Juan López Cano, è uscito per Quodlibet DiAP Print editore “Spazi d’artificio. Dialoghi sulla città temporanea”, saggio che attiva un dibattito interdisciplinare sui temi della città e del suo vivere.
“L’architettura non dovrebbe per statuto tendere alla permanenza?”. È questo uno degli interrogativi con cui si apre Spazi d’artificio, dialoghi sulla città temporanea. Nel tentativo di costruire una visione interdisciplinare dell’architettura e della città, il volume mette in evidenza un ruolo dell’“effimero” diverso rispetto a quello delineato dalla consueta competizione con il “permanente”. Prendere in esame la città temporanea permette infatti di adottare nuove chiavi interpretative attraverso cui leggere lo spazio urbano, specie in una contemporaneità nella quale l’atto stesso della previsione – peculiarità che il progetto di architettura racchiude – fatica a ritrovare significato. “La città contemporanea” – come afferma Carpenzano – “deve narrare le sue identità, parlare dei suoi attori e delle loro interrelazioni”.
I MOMENTI DELL’EFFIMERO
Lo spazio temporaneo viene dunque analizzato in quanto evento, dando il via a una similitudine tra la sua natura processuale e quella di un fuoco d’artificio: le fasi della preparazione e della dissoluzione della temporanea matericità diventano parte attiva dei pochi minuti durante i quali si consumerà l’evento vero e proprio, lo spettacolo. Il libro intende raccontare proprio questi “momenti” dell’effimero, nei quali le forme architettoniche si intrecciano non solo con la narrazione della città, ma anche con la rappresentazione dell’azione progettuale. L’atto stesso del progetto diventa un motivo di narrazione e rappresentazione polifonica nello spazio pubblico, attraverso la produzione e riproduzione di tutti i momenti a esso legati. Anche dallo smantellamento dello spazio temporaneo scaturiscono nuove memorie e narrazioni della città.
L’effimero invita quindi l’architetto a una continua ricerca sulla sua disciplina, su se stesso e sul ruolo del progetto nel pensare la città. Lo spazio può diventare uno strumento capace di rispondere e adattarsi a una continua modificazione, come sostiene De Matteis nell’intervento in cui ragiona sull’installazione On Space Time Foam. “La chiave di volta […]” – afferma – “sta proprio nel consentire agli spazi di reagire al movimento di chi li abita: sia questo movimento fisico, sia soltanto moto interiore, espressione di un tempo che non coincide con quello cronometrabile”. La pratica del progetto viene pensata dagli autori non finalizzata a riempire spazi, quanto piuttosto a liberarli, al fine di facilitare l’attuazione di nuove possibilità.
IL RUOLO DELLA PREVISIONE
In Spazi d’artificio si compie anche un ripensamento del concetto di previsione, normalmente alla base del progetto architettonico permanente. Infatti, come osserva Annalisa Metta, “il progetto perdurante, che assimili la natura aleatoria del progetto temporaneo, si pone come struttura performativa, non finalizzata alla definizione di una forma conclusa, ma alla modulazione delle condizioni per cui diversi ingredienti urbani entrino in relazione tra loro e reagiscano alle perturbazioni e turbolenze”. Spazi d’artificio induce, dunque, a domandarci se l’architettura debba effettivamente preferire una permanenza nell’apparente precarietà e incertezza dell’effimero o se questo non sia invece una “macchina” per mettere in discussione lo scopo stesso del progetto. Forse, innanzitutto, con l’obiettivo di creare condizioni per sviluppare processi reali nello spazio urbano.
Elisa Avellini
Luca Reale, Federica Fava e Juan López Cano (a cura di) – Spazi d’artificio. Dialoghi sulla città temporanea
Quodlibet DiAP Print, 2016
Pagg. 200, € 20
ISBN 9788874628162
www.quodlibet.it
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati