Un naso che preme sul mondo. Pinocchio secondo Antonio Latella
Il Pinocchio di Latella, produzione del Piccolo Teatro, ha recentemente debuttato a Milano. Un classico del palcoscenico, dai colori oscuri e dai ritmi barocchi.
Un naso che preme sul mondo, quello del Pinocchio di Antonio Latella, ultima fatica del regista napoletano, prodotto per la prima volta dal Piccolo Teatro di Milano, dove lo spettacolo ha recentemente debuttato. Un tronco di grandi dimensioni e impatto incombe sullo spazio scenico, oscuro, sospeso nel vuoto, in un paesaggio notturno, nel quale fiocchi di legno cadono come neve. Sineddoche visiva del burattino, e per estensione del suo povero naso, il tronco perfora la scena, penetrandola spazialmente ogni qualvolta le bugie, la fame, il desiderio prendono il sopravvento.
Il Pinocchio di Latella nasce in un luogo di fame, di mancanza, di assenza, abitato da personaggi dalle identità plurali in costante metamorfosi: un Mastro Ciliegia che cela e rivela una Fata Turchina in età avanzata e poi defunta, un Geppetto, ombra costante delle azioni del burattino in piccoli movimenti schizzati al bordo della scena, un Lucignolo, corpo stesso del protagonista.
UN EROE NOTTURNO
Simbolo dell’elan vital, della pulsione sessuale, della ricerca di mondo, il Pinocchio messo in scena da Latella rivela gli aspetti notturni del piccolo eroe di Collodi offrendoci, attraverso l’interpretazione persistente e nervosa del bravissimo Christian La Rosa, il racconto di una sorta di Golem, di quell’oggetto sghembo al confine tra artificio e natura, tra uomo e automa, che rivendica a forza il proprio statuto nel mondo.
Immerso nella creazione sino al collo, come evocano le parole di Artaud, tra le citazioni che incidono e sezionano ritmicamente il testo, il mondo che lo spettacolo indaga è un regno di indistinzione tra la vita e la morte, tra l’esserci e il non esserci, tra il dormire e il sognare abitato da fantasmi, automi, burattini alla ricerca del superamento della cortina illusoria che li separa dal mondo reale.
UNO SPETTACOLO POTENTE
Vicino alla lettura cristologica del romanzo di formazione, il lavoro nella recitazione ricorda la compulsività e la propulsione del Pinocchio di Carmelo Bene in quello struggimento del sé nell’azione, nel perenne compiersi, farsi e disfarsi dell’Uomo, nella rivolta costante verso il proprio padre e creatore. Il corpo dell’attore diventa magma, ipercinetica contrazione, baconiano farsi e disfarsi della sua figura.
Allo stesso tempo è lontano dall’iperbole del maestro di Nostra Signora dei Turchi, dalla sua ribellione sacrificale che non attraversa sino in fondo, conducendo piuttosto a un’umana, dolorosa ricerca di senso, nella cornice di un teatro classico, tradizionale, di grande eleganza e sapienza, con accecanti bagliori di attualità.
Ipertrofico nella durata, estenuante per intenzione, Pinocchio è uno spettacolo che rimane, per la potenza dell’apparato visivo (con le scene di Giuseppe Stellato e le luci di Simone De Angelis), per la magistrale sapienza degli attori (notevole Marta Pizzigallo nelle vesti di Colombina) e per quella capacità di Antonio Latella di penetrare il testo e il personaggio con elementi profondamente disturbanti in quanto prossimi (pedofilia, eros, povertà, fame, dannazione, estasi), immersi in un clima crepuscolare, richiamo costante alla nostra epoca.
Maria Paola Zedda
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