Mario Airò / Andrea Romano
Una doppia personale di Mario Airò e Andrea Romano. Nel solco di una tradizione espositiva avviata già da alcuni anni, anche questa mostra vede affiancati i nomi di due artisti italiani che per percorso artistico e appartenenza generazionale appaiono assai distanti l’uno dall’altro.
Comunicato stampa
La galleria Vistamare inaugura venerdì 24 febbraio alle ore 18.30 una doppia personale di Mario Airò e Andrea Romano. Nel solco di una tradizione espositiva avviata già da alcuni anni, anche questa mostra vede affiancati i nomi di due artisti italiani che per percorso artistico e appartenenza generazionale appaiono assai distanti l’uno dall’altro. Le sale della galleria sono alternativamente destinate a singole esposizioni mentre in altre il dialogo tra i due artisti si pone in contatto diretto. Le opere, in tutto una trentina, rivelano pur nella evidente distanza del manufatto, una attitudine comune, un gesto che trova espressione nell’utilizzo multiforme e variegato dei mezzi, la sensibilità estrema della casualità delle cose unita a una seducente volontà di rappresentazione. I singoli lavori, anche nel mantenimento di una propria autonomia, posti in stretta relazione finiscono con l’accentuare e arricchire gli aspetti reciproci dell’uno e dell’altro in un misterioso gioco di specchi e assonanze.
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Mario Airò (Pavia, 1961) riversa nelle sue opere una infinita gamma di riferimenti culturali e artistici che vanno dalla letteratura alla storia dell’arte per sfociare poi nella filosofia o ancora nel cinema e nel design. Ed è in questa sorta di koinè creativa che va cercato il tratto distintivo del suo personale modo di intendere l’arte: un’assenza di limiti e cesure intellettuali, in cui il pensiero riesce a muoversi fluido, privo com’è di gabbie strutturali. E’ l’artista stesso a dichiarare “spesso non so quello che faccio né riesco a valutarne la portata. Avverto un’urgenza, ne percepisco la lunghezza d'onda e la cavalco. L'unico strumento di selezione è la sua intensità e la sensazione che tocchi qualcosa di vero. In questo frangente mi sento spinto a percorsi di accentuata radicalità. È come se dovessi rinunciare a un po' di compiacenza, di seduzione e spingere l'acceleratore su linee eteree. L'estrema attenzione al manufatto, alla cosalità delle opere, che avverto attorno a me, mi porta ad abbandonare le linee di terra e a privilegiare quelle del fuoco dell'aria e dell'acqua.” Quest’urgenza trova la sua propria espressione in opere che coniugano elementi naturali a oggetti del vivere quotidiano, dando forma di volta in volta a originalissime sculture, piccole e grandi installazioni, fotografie che gettano un ponte tra i diversi modi del suo fare arte.
Tra i lavori in mostra, alcuni realizzati appositamente e altri la cui datazione va indietro negli anni, molti evidenziano i riferimenti letterari e la contaminazione formale come “Deewan in Divan” 2016, in cui un piccolo piedistallo in legno verniciato è il fragile supporto a due libri incastrati in un abbraccio fra pagine e precario equilibrio. I piccoli volumi sono uno il Deewan di Hafez (mistico sufi persiano vissuto nel XIV secolo) e l’altro il Divan di Goethe (pubblicato nel 1819 quando Goethe era ormai in età avanzata, fu composto sotto l’influsso dell’amore per la giovane Marianne von Willemer e sotto lo stimolo della traduzione, da parte dell’orientalista Joseph von Hammer, delle poesie dello stesso Hafez). Entrambi gli scritti, di cui anche il titolo rimanda a un’assonanza inaspettata, testimoniano della possibilità di comunione tra culture diverse, la cui storia seppur tanto lontana può immergersi in un sentimento unico, dando vita, attraverso l’uso cadenzato di un linguaggio essenziale, a una sintesi di grande respiro. Così come il lavoro su legno intitolato “Walt in the sky” riproduce anche graficamente la pagina stessa di uno degli scrittori preferiti da Airò, lo statunitense Walt Whitman, cantore di libertà e dell’ideale visionario che vuole l’uomo momento centrale della percezione delle cose.
Mario Airò partecipa alla 47a Biennale di Venezia nel 1997, alla Moscow Biennale of Contemporary Art, Mosca e alla Biennale di Kwangju nel 2005. Ha avuto mostre personali e collettive in Italia e all’estero: nel 2015 la Galleria Nazionale di Parma-Palazzo della Pilotta gli dedica una personale, così come nel 2013 il Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce di Genova, nel 2004 è al Palazzo della Triennale, Milano, nel 2001 espone alla GAM di Torino e nel 2000 alla Kunsthalle di Lophem. Hanno ospitato suoi lavori, tra gli altri, il Castello di Rivoli, il Museum of Contemporary Art di Tokyo e lo S.M.A.K. di Ghent.
Andrea Romano (Milano, 1984) presenta una serie di opere tutte appartenenti a quelli che sono tra i due cicli maggiormente caratterizzanti il lavoro di questi ultimi anni: Claque & Shill e Potsherds and gazes. Claque & Shill (letteralmente gruppo che applaude su commissione e l’imbonitore di professione) è un corpus di lavori avviato nel 2011 e non ancora terminato. Si tratta di ritratti, prevalentemente femminili, realizzati in grafite su carta e conclusi da una cornice spesso realizzata in marmo o pietra. Il ritratto testimonia dell’eccezionale sensibilità tecnica di Romano che definisce attraverso tratti sottili e precisi la qualità psicologica del soggetto ripreso. Il punto di vista è assai stretto, una sorta di close-up fotografico, in cui i lineamenti del volto svelano la loro avvicinata bellezza. Molte delle protagoniste sono ragazze appartenenti allo stesso ambiente dell’artista, presenze che involontariamente ne influenzano la visione del mondo esterno. Ogni lavoro trova naturale sbocco in una cornice massiccia e imponente le cui qualità fisiche appaiono l’ovvio prolungamento dell’oggetto contenuto al suo interno, così come avveniva nelle antiche cornici rinascimentali e barocche che allo stesso tempo proiettavano, moltiplicandolo, nello spazio attiguo i contorni dell’opera. Come altri esponenti della sua generazione, Romano prende le distanze dall’idea di una bellezza digitale per riappropriarsi di mezzi e strumenti classici. La serie di neon Potsherds and gazes (cocci e sguardi), a cui si affiancano alcuni studi su carta, iniziata anch’essa anni prima, svela la relazione tra i corpi di esseri umani e dinosauri tratti dal cartone animato The Flintstones. Questi lavori testimoniano del rapporto tra l’idea di primitivo e quella di modernità, tanti cocci di un passato e una storia mai esistiti. Le immagini isolano le poche linee in cui i corpi delle due creature si toccano, sfiorandosi, si tirano, si stringono o si mordono. Le azioni degli uni e degli altri, portati ad un passo dall’astrazione, alludono a gesti sinuosi e sensuali quanto ad atti di violenza e sottomissione. La simbiosi di immagine e soggetto finisce col delineare alla perfezione quello spazio di transito tra il dominio visivo e quello tattile.
Andrea Romano è considerato tra gli artisti più interessanti della sua generazione. Diplomato all’Accademia di Brera di Milano, ha preso parte, tra le altre, nel 2016 alla 16° Quadriennale di Roma, all’esposizione The Picture Club presso l’Accademia Americana di Roma e alla mostra Ennesima a cura di Vincenzo De Bellis alla Triennale di Milano, alla collettiva Sous les Paves, la Plage nel 2012 della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, nel 2015 un solo show alla galleria Gaudel de Stampa di Parigi e nel 2011 alla Gasconade di Milano.