Anna Oberto – Mémoires Liquides Pierres et Cristaux
mostra di Anna Oberto Mémoires Liquides Pierres et Cristaux Écritures à Mesure de Femme a cura di Viana Conti. presso il Museo Mineralogico Luciano Dabroi di Palazzo Tagliaferro – Andora (SV).
Comunicato stampa
Artista impegnata nella ricerca verbo-visuale, nella scrittura al femminile, nella performance, nel cinema sperimentale, nella militanza femminista, Anna Oberto, nata ad Ajaccio, residente a Genova, è una figura internazionale già attiva nel contesto delle avanguardie e tuttora propositiva sull’area dei linguaggi e dei metalinguaggi.
Tra quarzi dai riflessi iridati, fantasmagorici giochi di luci e ombre, dorate sfoglie lenticolari di rose del deserto, Anna Oberto dissemina fermi-immagine di scritture, segni, tessiture e intrecci di fili rossi che non cessano di irretire lo spettatore nelle seduzioni del loro cerchio magico.
L’ultima riga di un diario si materializza nel gesto della performance, l’ultima pagina di un racconto si trascrive nello spazio dell’essere. La Scrittura a misura di Donna di Anna Oberto è un enigma sui bordi di un abisso, ai limiti di un paradosso logico in cui il lessico si radicalizza e al contempo implode nelle modalità anascritturali e analogiche elaborate con lei da Martino Oberto, a partire dal 1958 anno di uscita del numero 0 della rivista Ana Eccetera di filosofia astratta e linguaggio.
Nel Corpus della sua opera Scrittura e Performance si confrontano in un percorso criptico di seduzione e sparizione, dissacrazione della ritualità di massa e attivazione di una sacralità liturgico-cerimoniale del dono e del lutto, del canto e del silenzio, dell’amore e della follia.
Ecco in mostra Anna ritratta nel luogo dell’assenza, là dove parlano cristalli di memoria, rispecchiamenti di luci remote, di contatti, di figure perdute e ritrovate, del ricongiungimento con se stessa. Si inaugura così, tra le opalescenze delle pietre, il baluginio dei quarzi, i bagliori dorati delle marcassiti, uno scenario di Memorie liquide, appartenenti all’arco temporale 1980/1985, di gesti simbolici catturati dalla pelle chimica, permeata di micro particelle di alogenuro d’argento, della foto polaroid, per sua natura irripetibile, qui ripresa nella dimensione filmica di un fotogramma dilatato nel tempo e nello spazio, in cui Anna Oberto è artista, regista di se stessa, soggetto di un autoritratto smaterializzato nella luce, nel colore, nella gestualità di un corpo che si fa scrittura di un Diario Senti/mentale, riflesso speculare dei Frammenti di un discorso amoroso, di ascendenza barthiana, di una Mitobiografia da cui traspare il risalimento a figure sacrali come Anna Perenna (1989), archetipo della Madre e del Nutrimento (radice sanscrita ann=cibo) ninfa, secondo alcuni, delle acque, come Melusina, che la leggenda vuole con la coda di sirena o di serpente, a figure letterarie come Adèle Hugo, oracolari come Cassandra.
I gesti si riavvolgono nei fili rossi di contatti ora cercati, ora negati, ora ritrovati, nei meandri del vissuto. Un’iterata Cérémonie, quella di Anna Oberto, officiata dall’artista stessa in quella sequenza liturgica a cui Jean Baudrillard, Louis Marin, Paul Virilio - redattori, tra gli altri, della rivista trimestrale francese Traverses - dedicano, nel maggio 1981, cinque indimenticabili pagine di storia.
Artista, con Martino Oberto, attiva dalla fine degli anni Cinquanta, nelle analisi semantografiche del linguaggio – pubblicate in Ana Eccetera nel 1963 e 1965 - pratica la performance, prendendo le distanze dal teatro di parola e dallo spettacolo convenzionale di consumo, per entrare nel teatro della vita, per investire di valore simbolico, a livello concettuale, emozionale, sinestetico, ambienti, gesti, abiti, colori, percorsi, oggetti, suoni, canti, luci e ombre. Come in una danza ripetuta surplace, la sua scrittura, manuale e virtuale, gestuale e poetica, non cessa di oscillare tra significante e significato, tra semantico e asemantico. In Anna Oberto performer il Corpo è linguaggio, come lo ha letto Lea Vergine nei suoi scritti e nelle sue rassegne al femminile. La cerimonia dei suoi doni si materializza e smaterializza in un’offerta di racconto, che si dà come racconto di un’offerta a un interlocutore assente: l’amato.
Nel suo percorso di segnificazione della propria identità (latino signum facere), non cessano di delinearsi - a partire da L’utopico. Eanan o la scoperta delle origini della scrittura_del linguaggio_nel flusso vitale del colore (1974) - andamenti spiraliformi e circolari, in cui il rapporto con l’altro si manifesta, si interrompe, riprende, nel ricongiungimento delle due rive al cui centro, in-certo, il soggetto femminile ritrova l’Unità del Doppio, la centralità di se stesso.
Come in India Song di Marguerite Duras è l’inenarrabilità del racconto che scorre liquida davanti alle immagini iperdimensionate delle performance di Anna Oberto. Voci fuori campo, immagini dilatate in un tempo senza tempo, oggi le Scritture d’amore. La Cerimonia. Diario 1980, Scritture d'Amore. Il rituale dei doni. Ritratt(o)i 1982, Scritture d’amore. La Seduzione. Mer Mère Aimer 1984, Scritture di luce. Love’s writings in Wonderland. Reflected stories Lost images Spent gestures 1985, ricostruiscono nella mente e negli occhi di chi guarda un percorso estatico, un viaggio nell’immaginario, nel sogno, nel desiderio, nel labirinto, nell’intensità empatica della scrittura in codice del Journal intime di una delirante Adèle Hugo. La dimensione simbolica di questa artista e sacerdotessa, autrice e performer si esprime nello Spazio come Stanza della Poesia, nel Tempo come dipanarsi e raggomitolarsi del Filo scarlatto del flusso vitale, nel Colore Rosso come Pathos, nel Nero come pratica del lutto, nell’Oro come dimensione sacrale, emblematicamente espressa dall’opera Affiora la follìa tra folgoranti bagliori, del ciclo Si Apre la Parola, del 1989.
L’attività interdisciplinare di Anna Oberto si configura come un Diario in cui la mente e il corpo vivono ed esprimono una duplice avventura culturale che, mentre si afferma senti/mentalmente, si nega ai modelli del consumo diventando off Kulchur, come voleva Ezra Pound.
La mostra mette in scena la storia liquida di una donna che sfocia in una storia altra, che si dissolve come una lacrima nella pioggia, come un’onda nel mare, ripescando nei fondali della memoria parole e immagini approdate alle rive dell’amnesia. Anna scrive e trascrive un diario che si cancella immergendo volto, capelli, oggetti, pietre e immagini, nell’acqua, riemergendone depositaria di una rinnovata scrittura, in cui detto e non-detto, memoria e amnesia, si sono indissolubilmente intrecciate tra i suoi lunghi capelli neri. Nei labirinti dell’Ospedale Psichiatrico di Quarto, a Genova, nel 1984, davanti ad una vasca di cristallo colma d’acqua, foto polaroid, nastri rossi, monili dorati, bianchi petali di magnolia, risuonano, come un sommesso mantra, le parole chiave di una vita d’artista: Mer Mère Aimer.
Viana Conti