Lubiana città attivista
Estate 2012, numero 8 di Artribune Magazine: la nostra inchiesta sui Balcani arrivava in Slovenia. Se già allora Lubiana era una meta interessante dal punto di vista artistico, ora la sua scena culturale si è strutturata ancora più saldamente, anche grazie a nuovi musei, residenze per artisti e gallerie. E così siamo tornati nella repubblica che confina con la nostra penisola, per scoprire le ultime tendenze, tra fotografia e design.
La svolta per Lubiana coincide con l’indipendenza della Slovenia nel 1991, quando la caserma Metelkova viene occupata da un gruppo di artisti. Oggi è un luogo più istituzionalizzato, dove a fianco di alcuni atelier si trovano studi di design, un ostello e una galleria. Qui sorge anche il recente polo museale, con il MSUM – Muzej Sobodne Umetnosti, inaugurato alla fine del 2011. Il Museo d’Arte Contemporanea, insieme alla Moderna Galerija adiacente al Parco Tivoli, organizza ciclicamente interessanti retrospettive sui movimenti artistici militanti degli ultimi decenni nell’ex Jugoslavia. Conta una collezione sistematica dell’arte prodotta nell’ex blocco sovietico e delle avanguardie dell’est Europa, raccolta sotto il nome di Arteast 2000+. Qui non troviamo solo Marina Abravomić, Ilya & Emilia Kabakov e Dan Perjovschi, ma esponenti della scena artistica underground e punk, insieme a collettivi quali Leubach, IRWIN (fondatori tra l’altro di un’accademia privata che svolge un lavoro estremamente importante sulla scena artistica lubianese) e NSK. Forti dell’attivismo della direttrice Zdenka Badovinac, i due musei sono promotori di una fitta rete di relazioni con omologhi europei, rete che si avvale anche di una interessante rivista online, L’internationale.
Anche altre istituzioni cittadine promuovono artisti locali e internazionali come la City Art Gallery diretta da Alenka Gregorič – una della curatrici slovene più attive – e la Vžigalica Gallery, nata per diffondere progetti di cultura contemporanea. Un altro interessante caso di riconversione è Tobacco 001, ex fabbrica del tabacco e oggi polo creativo con un museo, una galleria d’arte, studi di designer, residenze per artisti e il club underground Zoo.
Spostandoci a nord troviamo il quartier generale del progetto MoTA – Museum of Transitory Art. Qui abbiamo incontrato Neja Tomšič, artista e producer che ci ha raccontato la nascita, il presente e il futuro del progetto. Poco distante troviamo un altro polo creativo: il centro per la cultura urbana Kino Šiška, un ente pubblico per la cultura contemporanea fondato dal Comune di Lubiana, che ha all’attivo più di 270 eventi all’anno tra mostre, concerti e spettacoli.
MOMENTI FOTONICI
In questo contesto si inscrive anche la galleria Photon. Ecco cosa ci ha raccontato il direttore, Dejan Sluga: “Il Centro di Fotografia Contemporanea Photon è stata fondato a Lubiana come iniziativa autonoma, una piattaforma online e, dopo solo un paio di mesi, abbiamo aperto il primo spazio della galleria. Uno dei motivi per fondarla era la mancanza di istituzioni pubbliche dedicate completamente alla fotografia in Slovenia, così come nel sud-est Europa. L’idea era quella di fondare un’istituzione seguendo il modello della Casa della Fotografia (come a Budapest e Bratislava). Tuttavia, il sostegno pubblico non è mai abbastanza a Lubiana e in Slovenia in generale, quindi Photon è iniziato come un piccolo centro dedicato alla fotografia con uno spazio espositivo e una libreria, ma non ha mai avuto un supporto che garantisse lo sviluppo di una struttura più grande”.
Photonic Moments è un festival di fotografia iniziato come mostra collettiva nel 2005, “una presentazione delle pratiche di fotografia contemporanea del sud-est Europa”, come sintetizza Sluga. “Dal 2006 il festival si è poi strutturato con il format del ‘mese della fotografia’ già diffuso in altri Paesi europei, per collaborare con diversi partner (gallerie, musei, spazi di progetto ecc.) di Lubiana che partecipano al festival con il loro programma o con una programmazione realizzata ad hoc, in co-produzione. Dal 2008 è organizzato come una biennale nella quale presentiamo fotografi locali e internazionali”. A Sluga chiediamo allora quale sia l’obiettivo del festival e se esistano esempi simili nell’area. “Il nostro obiettivo principale è sempre stato diffondere la produzione creativa delle regioni del sud-est Europa. Nel frattempo sono cresciuti alcuni altri festival nella regione – Zagabria, Belgrado, Rovigno, Novo mesto, Sarajevo ecc. – ma ‘Photonic Moments’ è ancora l’unico a concentrarsi esplicitamente sulla produzione di qualità nella regione”.
PARADOSSO SLOVENIA
Insieme a Dejan Sluga abbiamo ripercorso brevemente gli ultimi trent’anni della Slovenia, attraverso i suoi “enormi cambiamenti: prima il crollo della Jugoslavia e dell’economia socialista, con un periodo di transizione politica ed economica”. Un lasso di tempo durante il quale “la produzione artistica si è sviluppata progressivamente, con nuovi modelli di finanziamento pubblico approntati per le organizzazioni senza scopo di lucro. Tuttavia”, sottolinea lucidamente la nostra guida, “gli aspetti commerciali dell’arte sono venuti a mancare durante il periodo di transizione. In Slovenia è molto difficile trovare sponsor privati e donatori, così come non vi è praticamente alcun mercato dell’arte”. La conseguenza diretta è una situazione che Sluga definisce “paradossale: mentre nel periodo socialista sono state sponsorizzate regolarmente istituzioni d’arte, le manifestazioni e gli artisti (e quindi si è mantenuto un modello molto specifico di mercato dell’arte), ciò è cambiato completamente dopo la transizione verso il libero mercato e la democrazia parlamentare. Così la produzione artistica in Slovenia al giorno d’oggi è prevalentemente finanziata con fondi pubblici”.
Qual è allora l’attuale configurazione della scena artistica a Lubiana? “Molto vivace, nonostante dall’inizio della crisi economica mondiale, nel 2008, ci siano stati tagli significativi nel finanziamento per le arti e la cultura”. E tuttavia, nel solco del paradosso di cui si parlava poc’anzi, “in quel periodo sono state fondate diverse nuove iniziative e nuovi spazi sono stati aperti. Ci sono organizzazioni non profit completamente indipendenti, come il Rog, e anche alcune gallerie private e istituzioni pubbliche”. Tutto bene, dunque? Non esattamente, perché “la Slovenia non ha ancora un museo per la fotografia e le arti multimediali, che considero la forma d’arte più contemporanea, che riflette gli sviluppi del XXI secolo”. E ciò a discapito, ribadisce Sluga, “di una scena legata alla fotografia molto vivace e di una nuova scena dell’arte multimediale che funziona bene, nonostante le infrastrutture inesistenti”.
Problematiche che sottolinea anche Aurora Fonda, direttrice del centro espositivo sloveno di Venezia AplusA: “La mia impressione è che stiamo assistendo agli effetti del drammatico risultato del cambiamento di un sistema che assicurava una certa sicurezza economica e che a breve vedrà scomparire coloro che non si sono prodigati a crearsi una propria autonomia”.
BICICLETTE E BIENNALI
A pochi passi dal centro storico e dal Metelkova troviamo l’ex fabbrica di biciclette Rog, alla quale accennava Sluga: occupata nel 2006 da artisti e creativi, oggi questo complesso slabbrato è al centro di un discusso progetto di riqualificazione, che prevede la creazione di un nuovo polo creativo. Proprio davanti al centro è stato posizionato un container di 30 mq, il RogLab, per la realizzazione di altrettanti progetti nel campo dell’architettura, del design e dell’arte contemporanea.
Lubiana è però anche la sede della Biennale delle Arti Grafiche, fondata nel 1995 e che a settembre presenterà la sua 32esima edizione, come sempre promossa dall’MGLC – Centro Internazionale di Arti Grafiche. Appuntamento importante, nel 2017, anche per la biennale di design BIO, che festeggia la sua edizione numero 25 con il titolo Faraway, so close. A curarla saranno Maja Vardjan e Angela Rui, che ci hanno raccontato passato e presente di questa manifestazione e lo stato del design sloveno. Il punto di svolta storica è naturalmente, ancora una volta, l’indipendenza della Slovenia dalla Jugoslavia, conquistata nel 1991. “Questo salto abbastanza improvviso nel sistema del capitalismo globale ha portato a prove difficili, anche per il design, che è stato collegato all’economia e alla produzione industriale”, commentano le curatrici. “La crisi del periodo di transizione è coincisa con quella del grande mercato jugoslavo, costringendo molte aziende a chiudere o quantomeno a ridurre drasticamente i comparti di sviluppo e progettazione”. Di conseguenza, la filiera produttiva si è dovuta reinventare: “Mancando il backup di grandi team e delle industrie, i progettisti hanno dovuto sviluppare modi più flessibili di operare, in continua evoluzione con il panorama economico. Questi processi hanno portato alla formazione di piccoli e indipendenti uffici di progettazione. I designer sono diventati simultaneamente produttori, creatori e distributori dei propri progetti. Questa situazione, a venticinque anni dalla costituzione del nuovo Stato, è molto simile ad altri Paesi europei”.
Dalla fotografia al design, Lubiana era già una capitale culturale in epoca jugoslava. “Anche se la città è relativamente piccola, i suoi programmi culturali sono paragonabili ad altre capitali europee”, confermano Vardjan e Rui, e rilanciano: “Si potrebbe addirittura dire che qui si trovano programmi ancora più specifici di avanguardia. Grazie alla sua posizione, è molto ben collegata internazionalmente. Ciò è sempre più visibile in tutti i tipi di collaborazioni e scambi di conoscenze”. Una dinamica ben percepibile proprio nel campo del design, dove “si assiste allo sviluppo di pratiche di progettazione flessibili che spesso trovano le loro aree di attività all’interno delle strutture di collaborazione più grandi, come le zone coworking e i laboratori”.
Ma questa riconfigurazione della filiera produttiva ha portato con sé anche una ridefinizione a livello urbanistico? “Abbiamo assistito a cambiamenti in termini di investimenti nelle infrastrutture pubbliche e negli spazi”, ci raccontano le curatrici, “ma purtroppo questo si è concentrato nella zona del centro storico, mentre i quartieri residenziali sono ancora in attesa di interventi e riqualificazioni. Questo è uno dei motivi per il quale un team della Biennale agirà in tali aree”.
BIO LA BIENNALE
La 25esima edizione di BIO aprirà al pubblico il 25 maggio. La sua storia inizia però molto prima, seppure con un nome diverso: “La Biennale del Design Industriale fu istituita nel 1963 – la prima mostra venne organizzata nel 1964 – ed è stata, insieme alla Triennale di Milano, uno dei più importanti eventi di design negli Anni Sessanta. Era stata fortemente voluta dal Comune di Lubiana, dalla Camera di Commercio della Repubblica Socialista della Slovenia e dalle associazioni professionali di design, con l’obiettivo di stabilire connessioni con l’industria, la promozione del buon design nella vita di tutti i giorni e l’educazione di progettisti e pubblico”. Mostra con un approccio “molto modernista”, BIO era un evento internazionale di grande rilevanza per la Jugoslavia del tempo: “Era una specie di terreno neutro, un Paese non allineato, dove questo tipo di scambi fra est e ovest erano possibili. BIO era stata concepita come mostra comparativa dei prodotti finali di design”.
Ora però, dopo mezzo secolo, è giunto il momento di cambiare approccio. “Abbiamo deciso di trasformare il format nel contesto attuale dello sviluppo sociale ed economico”, confermano le curatrici: “Con BIO 25 vogliamo sottolineare l’idea di un evento quale è una biennale, che cosa si dovrebbe fare, in che modo può essere ancora utile oggi; e ciò che noi percepiamo come ancora urgente e cruciale in relazione ai nostri compiti, partendo dal nostro campo professionale, che è il design e l’architettura. Questo è il motivo per cui abbiamo deciso di iniziare lontano dalla progettazione, coinvolgendo il territorio locale, così interessante, e le menti brillanti che vi abitano, per poi tornare alla selezione del progettista da coinvolgere nel processo creativo”. La costruzione di BIO 25 procede così per layer: “Ci sono diversi strati attraverso i quali si definisce il ‘lavoro creativo collettivo’”, spiegano Vardjan e Rui, “il primo livello corrisponde alla collaborazione tra i profili sloveni e i designer selezionati, che lavoreranno in un flusso continuo di scambi. E poi il secondo livello, che allarga la scala della piattaforma, con i partecipanti internazionali che hanno fatto domanda per lavorare in sette gruppi diversi. Abbiamo concentrato la nostra attenzione su una nuova società, e un numero crescente di individui che stanno adottando il ‘lontano’ come un nuovo luogo da abitare, in cui le condizioni di vita sono buone, perché quei luoghi diventano piattaforme da cui siamo in grado di operare. Così fin da subito la proposta è stata quella di dislocare la Biennale, in termini generali, di spingere ulteriormente il formato, guardando a ciò che è non-urbano”.
Con un approccio di questo genere, lo sguardo si allarga naturalmente dalla città al Paese. “E quando si iniziano a indagare la Slovenia e le sue caratteristiche, ciò che colpisce subito è quanto sia piccola. Ad esempio, il numero di abitanti è di circa 2 milioni, poco più di una città come Milano”, notano le curatrici. “Il suo territorio è incredibilmente ricco di situazioni legate a grandi temi che possono essere discussi a livello globale, a cominciare dalla ricchezza naturale che questo Paese possiede: il 60% è foresta, il 40% della terra è coltivato, ci sono 11mila grotte censite, 28mila chilometri di fiumi. Il governo sta dedicando la maggior parte delle sue risorse economiche per lo sviluppo dell’agricoltura e del turismo”. La Slovenia diventa così, nel progetto di BIO 25, “un paradigma per stimolare, discutere e indagare lo stato di questo cambiamento globale”, con l’obiettivo di “aprire possibili scenari e visioni”. Ma in pratica cosa significa? “Ogni team progetterà una doppia installazione: quella nella o sulla location selezionata, che ha bisogno di avvicinarsi alle condizioni e alle reti locali. Mentre la seconda sarà collocata nel Museum of Architecture and Design come parte della mostra principale: in questo caso chiediamo ai progettisti invitati di agire come direttori, in modo da cercare di costruire e raccontare la storia del meta-livello”.
E se tanti sono i progetti ancora da realizzare, a Lubiana si guarda al futuro con entusiasmo, cercando di mantenere l’autenticità e lo spirito sovversivo che hanno contraddistinto la vibrante scena culturale della capitale slovena negli ultimi decenni.
– Giorgia Losio
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #35
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